Parasubordinati, freelance e autonomi: ecco i «nuovi poveri»

I contributi che versano servono per pagare le pensioni, ma loro rischiano di non arrivarci mai, alla pensione. Di quello che guadagnano il 27% finisce nelle casse dell’Inps ma, allo stesso tempo, la loro situazione contrattuale non prevede tutele di malattia né ammortizzatori sociali. Sono i lavoratori parasubordinati e gli autonomi iscritti alla gestione separata dell’Inps: i grandi esclusi dal Jobs Act di Renzi che, da soli, generano Pil per 24 miliardi pur percependo, in media, un compenso lordo annuo inferiore ai 19.000 euro.

Foto: Stefano De Granis/LaPresse
Foto: Stefano De Granis/LaPresse

I LAVORATORI DELLA GESTIONE SEPARATA – Uno scenario fotografato dall’Osservatorio dei Lavori dell’Associazione XX Mag­gio, che ha presentato a Roma il Terzo rap­porto sui dati della gestione sepa­rata dell’Inps. E i numeri parlano da soli: a un lavoratore autonomo che guadagna mille euro, al netto delle trattenute, restano in tasca 515 euro contro i 903 di un lavoratore dipendente. Ma ma per la maggior parte degli iscritti a questa cassa i fatidici “mille euro” restano comunque un sogno lontano, visto che il compenso medio lordo degli appartenenti a questa categoria guadagna un compenso medio lordo di 18.640 euro, che diventano 8.670 netti. Ovvero, 723 euro al mese. 

I NUOVI POVERI – E i dati si fanno ancora più amari quando si entra nel dettaglio: un giornalista freelance iscritto alla gestione separata percepisce un compenso medio annuo di soli 9.000 euro, meno di quanto guadagnano gli operatori dei call center (10.128 euro). Non vanno meglio le cose per i dottori di ricerca, che guadagnano in media 13.834 euro all’anno e per i medici specializzandi, con 18.746 euro all’anno. La cifra più sconcertante, tuttavia, rimane la disparità tra uomini e donne: con queste ultime che, nella fascia tra i 40 e i 49 anni, guadagnano in media quasi 12.000 euro in meno dei colleghi uomini. Un esercito di “nuovi poveri” che, come dice l’Osservatorio XX maggio, ridefinisce il concetto di proletariato: lavoratori che, nonostante tutto, totalizzano un prodotto interno lordo pari a 24 miliardi e un gettito di 5,8 miliardi che finisce nelle casse dell’Inps.

GLI EFFETTI DELLA CRISI – La crisi, comunque, ha colpito duro anche in questa categoria: tra il 2007 e il 2013 i collaboratori a progetto sono diminuiti di 322.101 unità, di cui 145.000 in meno soltanto nel 2012. La situazione è precipitata con la riforma Fornero che, introducendo i minimi tabellari ha causato l’aumento di lavoro nero e «false partite Iva» se non addirittura la perdita di posti di lavoro.

 

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ESCLUSI DALLA LEGGE DI STABILITÀ – E la situazione non è destinata a migliorare: la legge di stabilità non prevede sgravi per i lavoratori parasubordinati: questo significa, sottolinea l’Osservatorio, che le imprese continueranno a preferire soluzioni contrattuali che alimentano il precariato, senza che i lavoratori possano usufruire della legge sul salario minimo, che non può essere applicato né ai parasubordinati né ai possessori di partita Iva. Una possibile soluzione? È quella che riporta Il Manifesto, che cita il report dell’Associazione XX Maggio:

La strada potrebbe essere quella di stabilire un equo compenso per le partite Iva individuali per evitare che il Jobs Act le spinga verso il lavoro nero o l’inoccupazione. Per l’Associazione 20 mag­gio la solu­zione sarebbe quella di ricon­durre gli «ati­pici» nella con­trat­ta­zione col­let­tiva, un’opzione fin’ora tra­scu­rata dai sin­da­cati. Resta da capire la situa­zione di coloro che non pos­sono, o non vogliono, diven­tare dipen­denti. Ver­ranno lasciati al loro destino di esuli invo­lon­tari, oppure si pos­sono imma­gi­nare forme di tutele uni­ver­sali o un red­dito di base?

 

(Photocredit copertina: THOMAS SAMSON/AFP/Getty Images)

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