Gli scontri in Serbia-Albania? Colpa dell’Uefa

15/10/2014 di Maghdi Abo Abia

«Mi hanno detto che da tre giorni sulle loro televisioni scorre una sovrimpressione dove si ricorda che bruciare le bandiere albanesi può portare a provvedimenti Uefa». In queste parole del Commissario tecnico dell’Albania, l’italiano ex Modena e Torino Gianni De Biasi raccolte in un’intervista di Paolo Condò sulla Gazzetta dello Sport pubblicata lo scorso 11 ottobre si racchiude la pericolosità di Serbia-Albania, partita che si è confermata tale con la sospensione dell’incontro al quarantunesimo per via d’intemperanze forse mai viste nel calcio recente.

Al di là del drone con la cartina della Grande Albania, comprendente il Kosovo, con la frase «Autoctono» e i volti di Ismail Kemali e Isa Boletini, i più rappresentativi dell’indipendenza albanese dall’Impero Ottomano, tirata giù da Mitrovic con reazione vigorosa di Xhaka e Lila, episodio che ha dato vita al tutto, ci si chiede perché la Uefa abbia permesso che le due nazionali, storicamente avversarie, si potessero trovare nello stesso girone, come poi puntualmente avvenuto. E non parliamo di supposizioni giornalistiche. Del resto lo dimostrano le notizie provenienti da Belgrado e Tirana in queste ultime ore. La stampa serba ha celebrato i giocatori ed i tifosi presenti allo stadio del Partizan. Questi ultimi hanno peraltro invaso il terreno di gioco ed uno di loro ha colpito con uno sgabello Balaj, giocatore albanese.

Ancora più incredibile la reazione a Tirana. All’aeroporto migliaia di persone hanno accolto staff e giocatori con un entusiasmo da trionfo in una finale mondiale. Niko Peleshi, vicepremier albanese, ha ringraziato la Nazionale per il gioco e la dignità mostrate. Edi Rama, premier albanese, anziché spegnere le polemiche ha espresso il proprio «rammarico per i nostri vicini che hanno fatto una figuraccia davanti a tutto il mondo con uno spettacolo vergognoso». Lorik Cana, giocatore albanese della Lazio, ha spiegato di essere intervenuto in difesa della «più bella bandiera del mondo», Ighli Tare, albanese, direttore sportivo biancoceleste, presente allo stadio, ha ringraziato i giocatori in campo. «I ragazzi si sono comportati con dignità per difendere la nostra bandiera. Hanno difeso il loro popolo, non può giudicare chi sta fermo».

Quindi qualcuno ha sorvolato il campo del Partizan con un drone a cui era stato attaccato un drappo con la cartina della grande Albania, i colori nazionali e la scritta Kosovo autoctono. Mitrovic ha preso il drappo trattandolo, secondo gli albanesi, senza rispetto e si è scatenato il parapiglia con Di Biasi che afferma come la sua squadra sia stata picchiata anche dal servizio d’ordine. Ok, nessuno avrebbe potuto immaginare una cosa del genere ma come si spiega l’invito sulle tv serbe? E la mancata possibilità dei tifosi albanesi di assistere alla partita così come l’obbligo per i serbi di starsene a casa al ritorno? Perché è stato possibile tutto questo? Colpa del sorteggio, forse. Ma è più probabile che si sia trattato di una leggerezza dell’Uefa.

Per definire le griglie di estrazione dei gironi di qualificazione a Euro 2016, il massimo governo del calcio ha impedito che potessero incontrarsi Spagna-Gibilterra e Armenia-Azerbaigian. I motivi appaiono evidenti. Da un lato c’è Madrid che rivendica la sovranità sulla rocca nonostante il Trattato di Utrecht del 1793 e dall’altro c’è ancora viva la questione della guerra del Nagorno Karabach. Ci sarebbe stato anche il problema tra Russia e Georgia ma le diplomazie dei due stati hanno lavorato insieme per aprire le porte di uno scontro nelle qualificazioni a Euro 2016. L’urna è stata però benevola.

Quanto accaduto ricorda da vicino la partita amichevole tra Italia e Slovenia del 21 agosto 2002. Gli ospiti vinsero per 0-1 ma ciò che rimase nella mente fu la scelta della Figc di giocare quella partita a Trieste. Basta un po’ di conoscenza della storia del nostro Paese a livello elementare per ricordare cosa è stato il conflitto della Venezia Giulia tra prima e seconda guerra mondiale. Peraltro il caso volle che in quella partita fecero la loro prima apparizione gli Ultras Italia. Il risultato? Scontri, intervento della polizia, un’invasione di campo, fumogeni sul terreno di gioco.

Il segno che spesso la politica del calcio viaggi ad una velocità diversa da quella della diplomazia. Se è vero che la Macedonia si chiama Fyrom, in italiano Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, per non far indispettire la Grecia, e che nella federazione europea è presente Israele a causa di ovvi problemi con i vicini di casa asiatici, appare quantomeno incredibile vedere che Serbia e Albania siano state inserite nello stesso girone. D’accordo, è un problema che riguarda tutta l’area balcanica, vedi i rapporti tra serbi e croati, tra croati e sloveni, tra italiani e serbi (e qui ci mettiamo Genova 2010, Ivan Bogdanov e la partita sospesa). La politica del pallone dev’essere però superiore e deve anticipare i problemi. La Uefa ha 54 federazioni affiliate ed è possibile cercare di mischiare le carte. E risulta grottesco che si pensi a Spagna e Gibilterra, come già detto, nonostante la dimensione della seconda non susciti poi chissà quali timori sui suoi hooligans, ma non ci si ponga il problema di un odio così radicato tra due paesi che rivendicano la sovranità su un territorio già causa del conflitto più doloroso e violento che l’Europa ricordi nel suo dopoguerra.

La dimostrazione? Spagna, Germania, Paesi Bassi, Italia e Inghilterra sono state sorteggiate nei gironi da sei squadre per via dei diritti televisivi. Sarebbe bastato separare anche le squadre di Nazioni tra cui non scorre buon sangue. Invece non è stato fatto. E magari adesso è colpa di chi ha guidato il drone o del tifoso che ha preso a colpi di sgabello Balaj.

Ps: ora però bisognerà calmare i nazionalismi che in queste ore stanno prendendo piede a Belgrado e Tirana ma sopratutto da parte albanese, con manifestazioni di giubilo anche in Montenegro ed in Kosovo. Chi ci pensa? E dire che sarebbe bastato davvero poco.

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