La Cina fa shopping in Italia

Dal mercato delle automobili alle banche, passando per le reti di trasporto di energia e alle telecomunicazioni. Fino alle tecnologie industriali e ai prodotti di lussi. Da mesi la Cina continua il suo “shopping” in Italia, ormai in fase di dismissione e, nell’anno in corso, terzo Stato europeo per somma di investimenti fatti da Pechino (dietro Gran Bretagna e Francia, ma davanti a Germania, Grecia, Portogallo e Spagna).

Quote di minoranza di Fiat, Enel, Eni e Generali sono state acquistate negli scorsi mesi dalla Banca del popolo cinese, istituto centrale del colosso asiatico. Già pronto a firmare nuove intese. Oggi stesso, come ha anticipato il presidente della Cassa depositi e prestiti Franco Bassanini, la Cdp (società per azioni a controllo pubblico, detenuta per l’80,1% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze) firmerà due accordi di investimento in infrastrutture con la Cina. Un patto siglato alla presenza dei due premier Matteo RenziLi Keqiang, quest’ultimo oggi a Roma per un tour che lo vedrà impegnato in molti incontri istituzionali e politici, dalla Capitale a Milano, dove parteciperà da giovedì all’Asem (l’Asia-Europe Meeting). 

 

Cina Italia Li Keqiang
Il primo ministro cinese Li Keqiang

 

 

LO “SHOPPING” CINESE IN ITALIA –  Secondo i dati forniti dalla Fondazione Italia-Cina,  quasi un centinaio sono i gruppi cinesi che al termine dello scorso anno erano presenti nel nostro Paese. “Il Giornale“, in un articolo di Stefano Filippi, ha ricordato quali sono stati i maggiori investimenti della Banca popolare cinese:

«A luglio ha acquistato quote di Fiat-Chrysler (177 milioni di euro per il 2 per cento delle quote), Telecom Italia (310 milioni per il 2,081 per cento) e Assicurazioni Generali (475 milioni per il 2,014 per cento). A marzo era toccato a Eni (1,4 miliardi per il 2,1 per cento della società petrolifera) ed Enel (734 milioni per il 2,07 per cento). In maggio la Cassa depositi e prestiti ha ceduto il 40 per cento di Ansaldo Energia, che era appartenuta a Finmeccanica, allo Shanghai Electric Group per 400 milioni di euro. Ad agosto è volata a Pechino una parte di Prysmian, gruppo attivo nel settore dei cavi per le telecomunicazioni e il trasporto di energia: anche in questo caso è stata superata di poco la soglia del 2 per cento che obbliga a informare la Consob (70 milioni di euro per il 2,018 per cento). L’operazione più clamorosa è stata l’acquisto per 2,1 miliardi di euro, ancora dalla Cassa depositi e prestiti (cioè il Tesoro), del 35 per cento di Cdp Reti, ovvero Terna e Snam, a China State Grid.

E c’è anche spazio per il mercato del lusso, con il gruppo Shenzhen Marisfrolg Fashion che ha comprato per 35 milioni di euro Krizia. Ma non solo: lo Shandong Heavy Industry Group detiene adesso il 75% di Ferretti Yatch, mentre Peter Woo l’8% in Salvatore Ferragamo.

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ANCHE NEGOZI E IMMOBILI –  Ma Pechino non è interessato soltanto alle acquisizioni strategiche. Sempre più imprenditori cinesi o sino-italiani sono interessati ad investire nel nostro Paese, per l’acquisto di attività commerciali e immobili. Lo testimonia l’exploit del sito www.vendereaicinesi.it, creato lo scorso febbraio dall’imprenditore piemontese Sergio Toppino e dal socio cinese di seconda generazione Alessandro Zhu per mettere in contatto il mercato italiano con la Cina. Il servizio è stato il primo a permettere ai cinesi residenti nel nostro territorio e agli italiani di avere l’opportunità di pubblicare annunci economici. Con tanto di servizio di traduzione.   

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Di fronte alla ripresa economica che latita e alle migliaia di aziende italiane che continuano a fallire per la crisi, per gli stessi imprenditori e commercianti italiani in difficoltà rivolgersi all’estremo Oriente resta un’operazione valida (al di là della polemica e della provocazione, con tanto di cartello razzista, legata alla vendita, poi smentita, della nota pasticceria romana “Pompi” agli stessi cinesi, ndr). Alla fine dello scorso anno furono gli operai della Fac ceramica, storica azienda di Albisola (Savona) di porcellane e prodotti professionali per bar e torrefazioni (tazzine, piatti e teiere), leader in Italia e conosciuta anche all’estero, a postare un annuncio sul sito per cercare un acquirente in casa cinese. Non certo gli unici. 

Gli stessi numeri mostrano come il fenomeno degli imprenditori cinesi o sino-italiani che acquistano e rilevano aziende e attività nel nostro Paese sia in costante crescita: ben 41 mila sono gli imprenditori cinesi interessati, secondo i dati della Camera di commercio di Milano del 2012. Nel capoluogo lombardo, il fenomeno ha coinvolto soprattutto i bar: 522 su 2.300 totali sono gestiti da cittadini provenienti dalla Cina. La crescita? Ben il 335% in sei anni, la più alta rispetto alle medie delle altre città italiane. Anche se, in passato c’è stato anche chi, già in Italia ha deciso di tornare nel proprio Paese, di fronte a un Paese in crisi perenne, così come spiegava all’inizio del 2013 anche il Financial Times, denunciando la fuga nella China Town romana.

SCONTRO GEOPOLITICO – Dietro i crescenti investimenti cinesi, c’è comunque il tentativo del Paese orientale di recidere gli storici vincoli tra Europa e Stati Uniti. E non è un mistero che Washington stia gradendo poco la “campagna acquisti” di Pechino nel vecchio Continente e in Italia. Uno scontro di potere tra due superpotenze, giocato anche nel nostro Paese. 

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