L’hostess e lo steward che preferivano la cassa integrazione al lavoro

29/09/2014 di Redazione

Richiamati al lavoro dall’azienda hanno deciso di presentare un ricorso, lasciando intendere di preferire ad uno stipendio pieno la cassa integrazione di cui stavano già godendo. È lo strano caso di Maria e Donato, hostess e steward della compagnia aerea Meridiana, che hanno chiesto al loro datore di lavoro danni per circa 200mila euro per essere sprofondati nella più cupa depressione.

IL RICORSO – La storia viene ricostruita oggi Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera. Ad inizio 2012 i due dipendenti Meridiana accettano la Cigs, la cassa integrazione guadagni straordinari, che sarebbe dovuta durare fino al 2015. Il ricorso racconta che hostess e steward sono stati in seguito richiamati in servizio mentre si trovavano negli Usa «alla ricerca di una nuova occupazione lavorativa, dopo aver ottenuto la Green Card all’esito di un dispendioso e snervante iter burocratico che ha coinvolto l’intera famiglia composta dagli stessi, quali coniugi, e dai tre figli minori». Secondo Maria e Donato la chiamata dell’azienda sarebbe avvenuta «senza alcuna reale e concreta necessità e solo per carattere punitivo, ritorsivo e illegittimo». Hostess e steward inoltre raccontano di essersi recati dopo il rientro in Italia «dal medico di base e successivamente presso il Policlinico Umberto I di Roma» dove sarebbe stata loro «diagnosticata una ‘sindrome depressivo ansiosa reattiva’» alla quale sarebbe poi seguita «la sospensione delle licenze di volo da parte dell’istituto di medicina legale, con blocco lavorativo di quattro mesi, oltre al mese prescritto dal medico di base». Ma non solo. Maria e Donato fanno sapere di aver ricevuto per tre volte visite dal medico fiscale per controllare il loro stato di salute denunciando «la natura discriminatoria dei comportamenti descritti attuati dalla compagnia aerea nei loro confronti, con ordine di cessazione dei comportamenti antisindacali, discriminatori e vessatori» e chiedendo, infine, il ritorno in azienda «a fine della malattia».

IL GIUDCIE RESPINGE – La richiesta di risarcimenti in denaro (rispettivamente di 92mila e 94mila euro) è però risultata fallimentare. Il giudice del lavoro ha respinto il ricorso perché considerato legittimo il richiamo al lavoro e insensata la lagna sul ritorno in servizio. «Semmai dovrebbero dolersi i lavoratori il cui rapporto di lavoro non viene ripristinato», ha fatto sapere il giudice. Ed erano «pienamente legittime» le visite del medico fiscale «per la verifica della comune malattia dei ricorrenti».

(Foto di copertina da archivio LaPresse di un sit in di lavoratori Meridiana a Cagliari nel 2013. Credit: Fabio Marras)

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