Mafia, Riina intercettato “difende” Mancino

02/09/2014 di Redazione

Più di vent’anni di carcere duro non sembrano aver cambiato Totò Riina. Dalle intercettazioni registrate dagli inquirenti durante le ore di socialità nel carcere di Opera con il boss pugliese Alberto Lorusso (depositate nel processo sulla trattativa Stato-mafia) il “capo dei capi” continua a mostrare un profilo di sé stesso ancora spietato. Si crede «terrificante», invincibile, quasi immortale, nonostante la reclusione ventennale. Ancora pieno di sé, come ricorda Attilio Bolzoni sul quotidiano “La Repubblica“, si compiace degli attentati sanguinari del passato – da Via d’Amelio a Capaci – , continuando a lanciare “ordini di morte”: dopo le minacce al pm Nino Di Matteo, quelle a don Ciotti, il prete antimafia e fondatore di “Libera” bollato come un «prete da uccidere».  

 

Camera ardente per Oscar Luigi Scalfaro
L’ex ministro Nicola Mancino, imputato per falsa testimonianza nel processo sulla trattativa Stato-mafia

 

RIINA: «MANCINO? MAI TRATTATO CON LUI» – Nelle conversazioni con Lorusso, è attento a rivendicare la paternità esclusiva delle sue azioni mafiose, negando di aver dialogato con uomini dello Stato nel 1992. E difendendo Nicola Mancino, accusato nel processo in corso a Palermo di “falsa testimonianza“, escludendo che l’ex capo del Viminale abbia avuto un ruolo nella trattativa (una tesi più volte evocata dal collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, che ha accusato l’ex ministro di essere l’ultimo destinatario del “papello”, ndr): 

«Ma che vogliono sperimentare? Che questo Mancino trattò con me? Loro vorrebbero così, ma se questo non è venuto mai», spiega il boss. E poi: «Vogliono accusare Mancino.. un nemico numero uno. Quello è un nemico degli italiani, un nemico della mafia, no un amico”.

Una versione credibile o un tentativo di depistaggio? A dover ricostruire la verità sarà il dibattimento, che riprenderà il prossimo 25 settembre con l’audizione del teste Ciriaco De Mita, ex segretario democristiano. Di certo, il capomafia non è così inesperto da ignorare la possibilità di essere intercettato. 

 

LE INTERCETTAZIONI DI RIINA IN CARCERE – Nelle conversazioni con Lorusso, Riina cerca di smentire anche Massimo Ciancimino, a sua volta imputato e teste nel processo sulla trattativa, in merito alla versione che lega il suo arresto all’intervento del boss Bernardo Provenzano e del padre Vito Ciancimino . Secondo Riina, Ciancimino jr parla per interessi economici («Vuole i soldi»): 

«Io, mio padre, il colonnello Mori convincemmo Provenzano a fare arrestare Riina – ha spiegato Riina riportando le dichiarazioni del teste – Ma santo cielo, tu Ciancimino sei un folle di catene». E poi: «C’è un pentito, c’è uno che è andato con gli sbirri là con il furgone», ha continuato Riina, riferendosi al collaboratore Balduccio Di Maggio.

Nello sproloquio di Riina trovano posto anche insulti al capo dello Stato Giorgio Napolitano («Napolitano, quella puttana della nostra Camera, a me non mi fanno telefonare a mia moglie»). Ma non solo: Riina se la prende con la presidente dell’associazione familiari vittime della strage di Via Georgofili, Giovanna Maggiani Chelli («la signora di Firenze accanita» contro di lui), cercando di tirarsi fuori dall’attentato del ’93. Per poi lanciare accuse contro quelli che definisce «spioni». Non soltanto l’altro boss Bernardo Provenzano, definito «il re dei carabinieri». Ma anche, a sorpresa come sottolinea “La Repubblica”, Matteo Messina Denaro. Per Riina, il superlatitante – definito come «l’unico che avrebbe potuto fare qualcosa perché era dritto» e aveva avuto la sua «scuola» –   potrebbe essere «andato all’estero».  Infine, attribuisce la scomparsa della famosa agenda rossa di Paolo Borsellino ai servizi segreti: «Gliel’hanno presa ed è sparita». In totale, sono oltre 1350 le pagine di intercettazioni in carcere del boss Totò Riina: saranno tutte vagliate nel processo, comprese quelle in cui evoca Silvio Berlusconi («Ci dava 250 milioni ogni sei mesi»: un “pizzo” versato, per il boss, fin dagli anni ’80 per ottenere protezione, ndr) e Andreotti («Lo incontrai, ma il bacio non ci fu»).

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