James Foley: le sei perle del complotto sulla sua decapitazione

Italiani popolo di santi, navigatori e complottari. Spopola in rete e sui social (ma in alternativa potete andare al bar sotto l’angolo e vedere) tesi più o meno ardite per smentire la veridicità del filmato dell’uccisione del reporter americano James Foley. Il video, diffuso martedì (e durato per pochi minuti) da un account Youtube è attribuibile alle milizie islamiche dell’ISIS. L’autenticità di “A Message to America” è stata ritenuta tale dall’Fbi ma noi italiani, che non siamo né tecnici, né agenti segreti, né federali amiamo migliorare le nostre tecniche d’indagine. A modo nostro.Siccome sono gli ultimi giorni di ferie leviamo ogni sforzo inutile a potenziali agenti di Csi e raccogliamo qui il “meglio” di queste ultime ore.

foley

UNO: IL VIDEO È TAGLIATO, NON COMPARE SANGUE– Iniziamo. Una cosa che accomuna tutte le piste del complotto è la serie compulsiva di clip che spiegano attimo per attimo la bufala in agguato. Siamo talmente bravi che come per lo sbarco sulla Luna in meno di 24 ore stavolta siamo riusciti a realizzare anche quello sugli ultimi attimi di vita di Foley.

Grandi eh? Partiamo dalla tesi base: ci sono tagli nel video originale. Solo per questo non può esser dichiarato autentico? «Magari – penserà qualcuno – come per un set cinematografico dovevano fare finta di ucciderlo. C’è poco sangue…». L’ISIS pubblica video sia da parte di miliziani (con loro smartphone) che roba decisamente più professionale. Lo sa bene, e lo fa con inquadrature necessarie per colpire un target non più islamico ma “occidentale”. Li sanno diffondere molto bene. Il “primo” video (che ha spopolato) targato ISIS si chiama “Eid Greetings from the Land of Khilafah” ed è confezionato sullo stesso stile della clip di Foley. Tagliare? Perché? Perché no. Il video ha lo scopo di esser diffuso sui maggiori media occidentali: non arabi. Per il target arabo vanno bene l’esecuzione di massa (sentita più reale dal target), gli interrogatori e gli spari. Il video di Foley doveva arrivare in America e davanti al presidente Barack Obama. Non solo: è probabile che l’esecuzione del reporter non sia stata la decapitazione, l’uccisione reale potrebbe anche non esser avvenuta in tale modalità. E poi perché dare motivo ai “gombloddari” di creare una “ottima” contestazione?

DUE: IL VIDEO È PROFESSIONALE – Non sono i soli a farlo. Il reportage propagandistico prodotto dagli Shabaab ad esempio dimostra la stessa cura professionale. E sopra abbiamo già parlato della tecnica video curata dal Al hayat media center, centro che diffonde su Twitter (con sua sigla) le creazioni ISIS. Ne parla molto bene Vice.

TRE: IL BOIA HA VESTITI TROPPO OCCIDENTALI – Molti utenti, abituati alle milizie di al-Qaida, non sanno che gran parte delle migliori forze ISIS hanno una impronta occidentale. Per esempio, secondo alcuni giornali statunitensi e britannici alcuni ex ostaggi nelle mani dell’ISIS hanno riconosciuto l’identità del boia. Si parla già di un certo “John” londinese. Il Guardian riporta le testimonianze di alcuni ex ostaggi: “Era la guardia principale dei cittadini stranieri a Raqqa. Si pensa sia originario di Londra e fu il principale negoziatore durante i colloqui per rilasciare 11 ostaggi del Califfato, consegnati ad autorità turche dopo che le richieste di riscatto furono soddisfatte”. Non è possibile che il boia (per sentirsi più vicino al target del video) si sia vestito usando scarpe occidentali facilmente reperibili in un paese che ha avuto a che fare in questi ultimi anni con persone e soldati occidentali? Nei reportage che coraggiosi e ottimi giornalisti fanno a Raqqa e dintorni si intravedono anche alcuni Rayban, sfoggiati con orgoglio da uomini del Califfato.

QUATTRO: FOLEY SEMBRA CHE CREDA ALLE SUE ULTIME PAROLE – Per favore. In quel momento l’ostaggio è costretto a ripetere pedissequamente quello che è suggerito dalle milizie. Perché? Spesso accade che questo patto divenga il pegno per avere una morte meno dura. Oppure accade perché minacce e collegamenti con cellule attive in paesi occidentali fanno più paura all’ostaggio. «Abbiamo passato diversi mesi insieme in una situazione estrema, compresa una settimana in cui siamo stati ammanettati l’uno all’altro, notte e giorno» ha riferito alla Bbc il giornalista francese Nicolas Henin prigioniero in Siria insieme con Foley, poi liberato lo scorso aprile. Il reporter statunitense condivideva tutto con gli altri ostaggi. «Essendo americano veniva probabilmente preso di mira di più dai carcerieri. Come una sorta di capro espiatorio».

CINQUE: IL VIDEO VIENE DIFFUSO IN QUESTE ORE, PERCHÉ? – E perché no? Ci sono tutti i motivi base per cui L’ISIS ora ce l’abbia di più con gli Stati Uniti d’America. Hanno iniziato da qualche giorno con i raid, arrivano aiuti umanitari, si fornisce un aiuto alle forze irachene, l’Onu emette sanzioni: insomma ci si sta riattivando su una questione abbandonata da troppo tempo. Si mettono i bastoni fra le ruote per il sogno del Grande Califfato. Inutile sottolineare i sospetti di qualche eletto a livello regionale. Non servono.

SEI: DIETRO ISIS C’È LA QUESTIONE PALESTINESE – Non proprio. Occorre andare a leggere a ritroso nelle note ufficiali del Movimento. Come abbiamo già spiegato nel pezzo “L’ISIS da Gaza a Riyad” il Califatto ha altre mire (ed interessi):

In realtà Gaza per l’ISIS rappresenta al momento più un problema che un’opportunità, dopo la famosa dichiarazione del califfato la dirigenza del gruppo si è distinta per la sua totale indifferenza alle sorte degli abitanti di Gaza, il sostegno verso i quali si è limitato a qualche frase di circostanza sul loro glorioso martirio. Un atteggiamento che è valso molte critiche ad Abu Bakr al-Baghdadi, il califfo della situazione, da parte di quelli che si aspettavano un sostegno ad Hamas a confronto con Israele. Critiche alle quali ha risposto una nota dell’ISIS nella quale si ricorda che il movimento ha un programma in diverse tappe e che penserà da attaccare Israele solo se e quando avrà realizzato e consolidato il progetto della Grande Siria e dopo aver indebolito gli interessi americani nel mondo.

E ora via con le domande. Se il video non è autentico perché l’ISIS (tanto avanti sui social) non ha ufficialmente smentito la paternità del gesto? E ancora anche le richieste di riscatto alla famiglia e il no della Casa Bianca risultate sul New York Times sono bufale? Medyan Dairieh ha fatto l’inviato embedded a Raqqa (roccaforte ISIS) per Vice. Consiglio i suoi videoreportages per capire al meglio il disegno per creare lo Stato Islamico in Iraq e nel Levante. Dopo poi possiamo continuare tutti a giocare a James Bond.

Share this article
TAGS