Robin Williams, il divo gentile

Da dove cominci se devi parlare di uno che con la sua faccia e il suo stile inconfondibile di recitazione, apparentemente sopra le righe e invece fatto di raffinato controllo e consapevolezza del proprio talento, ha colpito, cambiato e modellato il tuo, il nostro immaginario?

Te lo immagini che possa urlare da un momento all’altro “Good Morning, Vietnam!” e che possa scherzare, in diretta radio, sulla notizia assurda della sua morte. Un suicidio: sembrava una bufala, se non fosse che l’hanno da subito riportato tutte le testate più autorevoli, incluso il New York Times.

ROBIN WILLIAMS, UNO NESSUNO E CENTOMILA – Difficile descriverlo, forse è più facile dire chi è stato, Robin Williams, sul grande schermo. E’ stato un dj di guerra per Barry Levinson, appunto. Ha varcato il confine della fantasia, diventando Peter Pan in Hook-Capitan Uncino dell’amico Steven Spielberg, o Braccio di Ferro, in live action, per Robert Altman. E in una giungla che non c’è, se non nel gioco-film Jumanji, ci finisce per Joe Johnston. Con quel viso, gli occhi dolcissimi e luminosi, ma anche dolenti e profondi, con quel sorriso contagioso ma mai del tutto allegro, poteva davvero essere chiunque. Un alieno, persino, in tv: il mitico Mork e Mindy diventò cult grazie a lui e al suo saluto irripetibile per noi uomini normali, senza slogarsi le dita della mano.
Un comico, un trasformista (vedi Mrs. Doubtfire), un attore eclettico, un premio Oscar (come miglior attore non protagonista in Will Hunting- Genio ribelle).

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ROBIN WILLIAMS, L’ICONA – Eppure, se chiudi gli occhi, lo immagini sui banchi de L’attimo fuggente di Peter Weir a incarnare il maestro, di vita e di scuola, che tutti noi avremmo voluto avere. Eppure, là, quella libertà che lui porta come un vento rivoluzionario, è eccessiva per l’animo più sensibile. E fa paura pensare che quel suicidio di un suo alunno, nel film, che ci ha commosso e straziato il cuore come spettatori, assomigli così tanto al suo, se davvero c’è stato. Perché Robin Williams – chi scrive lo incontrò per uno dei suoi film peggiori, The Big White, e scoprì un professionista di rara intelligenza, superata solo dalla sua gentilezza – sembrava sensibile, ma non fragile. E in fondo come si fa a non vivere come un tradimento, questo abbandono alla vita e all’arte, per quell’uomo che incarnò una canzone mitica, un inno alla vita e alla leggerezza, come Don’t worry be happy? Già, riguardate il video: con Bobby McFerrin, c’è anche lui. Balla, persino con quei lineamenti che sapeva muovere come una maschera, in una espressività che non finiva mai di stupire. E Patch Adams? La risoterapia di quel dottore ha guarito molti di noi. In ospedale, peraltro, lo trovammo anche per il drammone Risvegli: film sopravvalutato, ma come non di rado gli capitava, le sue performance riuscivano a tappare buchi di sceneggiatura e cadute di stile e di regia. Guardavi lui e ti dimenticavi del resto, rapito. Lui lo sapeva e quando poteva permetterselo, gigioneggiava. Ma mai abbastanza da allontanarti.

ROBIN WILLIAMS, I REGISTI E I CULT – Prendete Jakob il bugiardo: si cominciava in quegli anni (era il 1999) a trattare l’Olocausto con più  dolcezza, ma non con meno rispetto: quel film di Peter Kassovitz, un’opera minore, diventa un gioiello per quell’interprete che tira fuori una prova inaspettata, calibrata, immaginifica. Sì, perché la sua grandezza stava nel portarti in mondi, reali o di fantasia, sospendendo la tua credulità. Poteva volare, sparire dentro un gioco, diventare una tata. Tu rimanevi lì e lui ti restituiva l’ingenuità perduta solo per portarti con sé. Tutti i registi migliori lo hanno voluto, affascinati dalla capacità quasi mimetica di essere chiunque, con un tocco personalissimo: Barry Levinson (che lo richiamò anche in Toys e L’uomo dell’anno), Spielberg, Van Sant, Terry Gilliam (Le avventure del barone di Munchausen e La leggenda del re pescatore, tra le sue cose più belle), Woody Allen, Kenneth Branagh, solo per citarne alcuni. Lo cercavano e volevano anche i più commerciali: quel furbissimo geniaccio di Chris Columbus (il già citato Mrs. Doubtfire, ma anche Nine Months e il poco apprezzato e asimoviano L’uomo bicentenario) o Shawn Levy che con la saga di Una notte al museo, il cui terzo capitolo è l’ultimo film girato da Williams, lo ha restituito al pubblico dei più piccoli che nel passaggio di millennio lo avevano perduto, avendo lui cercato, tra Insomnia di Christopher Nolan e One Hour Photo una strada più impervia, con personaggi più ambigui e oscuri.

ROBIN WILLIAMS E LA SUA GENEROSITA’ – Era un generoso: sfogliando la sua cinematografia pescherete i film diretti da David Duchovny, Danny De Vito e Chazz Palminteri. Colleghi. Non era di quelle star superbe che cercava solo ottimi cachet e progetti cuciti su misura, gelosi del successo o delle opportunità altrui. E questo nonostante la sua carriera sia fatta di tanti straordinari protagonisti, cavalcati come solo un mattatore poteva fare. Pochi hanno tenuto la scena come lui, eppure l’unica statuetta dell’Academy è arrivata in un ruolo di supporto. Gli riuscivano bene, proprio per quell’altruismo naturale. Che magari lo portava a regalare un cameo geniale nella serie tv Friends. Che gli valeva la stima di grandi interpreti e colleghi come, ad esempio, Al Pacino. che ha definito Williams “uno dei miei attori preferiti”. Che dieci anni fa lo fecero andare al fronte, per uno spettacolo dedicato a quei soldati che lo considerano, grazie al personaggio dello speaker Cronauer, un’icona.  Che lo spinsero a versare milioni di dollari alla fondazione dell’amico Christopher Reeve. Già, Superman e Peter Pan erano molto legati.

ROBIN WILLIAMS, ETERNO BAMBINO – Un bambino vecchio, come il suo Jack di Francis Ford Coppola. Opera minore anch’essa di un grande regista – non li ha quasi mai incontrati al momento giusto, purtroppo -, ma tenerissima e coinvolgente, in cui è un bimbo nel corpo di un uomo. Come Peter Pan, come Lesliein Toys, come forse tutti i suoi personaggi, giullari sensibili che si prendevano il peso delle risate altrui (il dj di Good Morning, Vietnam non era forse un soldato che usava il microfono al posto delle armi, per proteggere i compagni dall’abisso della guerra?). Forse, chissà, ha salutato la vita perché, come nei suoi personaggi, si era dato il compito di dare gioia senza riceverne abbastanza. Patch Adams, Peter Pan, Jakob, Adrian Cronauer, Mrs. Doubtfire (la sua Mary Poppins, di fatto) erano questo: eroi bizzarri che della loro fragilità facevano una forza. Per gli altri.

ROBIN WILLIAMS, L’ADDIO – E’ davvero difficile immaginarci senza di lui. E allora, per evitare la retorica, lo ricordiamo per Piume di struzzo, in cui interpreta un omosessuale in un lungometraggio di Mike Nichols. Ricordando che è uno dei suoi tanti lavori apprezzati meno di quello che si sarebbe dovuto. Era Il vizietto rifatto negli Usa, film da lui molto amato. E che lui si trovò annacquato, soprattutto nel finale. Fu una delle poche volte che lo videro discutere sul set. Perché se a 63 anni se n’è andato senza salutare, se è vero che dava l’idea di un uomo mite e gentile, era invece un uomo dalle qualità straordinarie, dal carisma e la forza non comuni. E ci piace sorridere del suo genio della lampada in Aladin, a cui regalò battute e improvvisazioni, praticamente riscrivendolo.

Ma probabilmente la verità è che, come Mork, è solo tornato sul suo pianeta. La Terra, in fondo, fa schifo.Lui ci aveva provato con John Belushi, suo amico, a sfidare la vita (con loro spesso trovavi anche De Niro e Nicholson), poi nel 2009 è finito in terapia intensiva per il cuore ballerino (anche in fatto di relazioni: ben tre matrimoni). In mezzo, periodi di dipendenza non brevi da stupefacenti e una grave forma di depressione.
Ora, a quanto sembra, si è soffocato. Lasciando senza fiato anche noi.
L’autopsia e l’esame tossicologico ci diranno se era lucido quando ha deciso di togliersi la vita. Il sospetto è forte: solo pochi mesi fa si era fatto ricoverare, proprio per l’abuso di alcol e droghe.

Qui ci limitiamo a ringraziarlo e salutarlo con un “Na-no, Na-no”. Perché a differenza di molti, questo divo gentile non rinnegò mai ciò che gli diede una notorietà mondiale: anzi, ha persino partecipato a un bel documentario su Mork, in cui racconta il suo ingresso nella società dello spettacolo, proprio fino all’ottenimento di quel ruolo. Ecco, il modo migliore per conoscerlo, forse, è proprio Behind the Camera: The Unauthorized Story of Mork & Mindy (2005) di Chris Diamantopoulos.

Prima, però, mettiamo su il dvd di Jack. Nella scena del discorso finale. Recitava così ed è suggestivo riscoprirlo nella notte dell’anno in cui sciami di astri si mostrano.

Vi prego, non preoccupatevi tanto, perché a nessuno di noi è dato soggiornare tanto su questa terra. La vita ci sfugge via e se per caso sarete depressi, alzate lo sguardo al cielo d’estate con le stelle sparpagliate nella notte vellutata, quando una stella cadente sfreccerà nell’oscurità della notte col suo bagliore, esprimete un desiderio e pensate a me. Fate che la vostra vita sia spettacolare.

Lo sarà sicuramente il suo congedo: ben quattro film con lui ci attendono. Boulevard di Dito Montiel, Una notte al museo 3, The Angriest Man in Brooklyn di Phil Alden Robinson (uscito negli Usa a maggio e vietato ai minorenni, non in Italia), Merry Friggin’ Christmas.

da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/film/j/jack-(1996)/citazione-1082

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