Eni indagata per corruzione internazionale

L’accusa è quella di corruzione internazionale, per l’acquisto del valore di un miliardo di dollari della concessione del più grande giacimento petrolifero della Nigeria. Un’inchiesta che investe l’Eni è stata svelata dal Fatto Quotidiano, con un articolo di Marco Lillo. Il colosso è stato iscritto nel registro degli indagati, in quanto dal 2001 la responsabilità per reati commessi in Italia e all’estero da persone fisiche che operano per le società è estesa anche alle persone giuridiche.

 

"Eni" Opening Exhibition At The Pinacoteca Agnelli
Paolo Scaroni, ex ad di Eni

 

ENI SOTTO INCHIESTA PER CORRUZIONE INTERNAZIONALE – L’accordo era stato stipulato nell’aprile del 2011 con il governo nigeriano, ma Eni aveva già trattato per un anno, fino al termine del 2010, con la Malabu Oil & Gas. Sul quotidiano diretto da Antonio Padellaro si precisa come nell’inchiesta risulti indagato l’imprenditore Gianluca Di Nardo, legato a Ebeka Obi – intermediario con i nigeriani – e al faccendiere Luigi Bisignani, che «garantiva un canale preferenziale grazie alla sua conoscenza con Scaroni», ex amministratore delegato dell’Eni.

L’indagine dei pm milanesi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro punta a chiarire il ruolo di Scaroni e Bisignani, quest’ultimo già ascoltato dai pm nei mesi scorsi. La procura milanese aveva acquisito le intercettazioni dell’inchiesta P4 che coinvolgeva il faccendiere: tra l’estate e l’autunno 2010 Bisignani parlava proprio dell’affare nigeriano con il suo amico Scaroni, allora ancora a capo del colosso. Conversazioni nelle quali, secondo il Fatto, emerge l’intervento di Bisignani (che ha patteggiato 19 mesi nell’inchiesta sulla P4), attivato da Di Nardo, su vecchi vertici Eni. Lillo ha spiegato come il faccendiere parlasse al telefono anche con Claudio Descalzi, attuale ad, non indagato:

«Agiva su indicazione del suo capo di allora, ma ha partecipato a numerosi incontri con il mediatore Obi e anche a una cena all’hotel Principe di Milano con l’ex ministro nigeriano (del petrolio, ndr) Dan Etete, personaggio chiave del caso» , si legge.

Proprio Etete deteneva la concessione OPL245 dal 1998, per poi assegnarla alla società Malubu prima di lasciare il suo incarico. In realtà, questa si riferiva a lui stesso e al generale Abacha, attraverso l’uso di prestanomi.

LA CONCESSIONE IN NIGERIA – La concessione del giacimento petrolifero off shore, le cui riserve erano stimate in “500 milioni di barili di olio equivalente”, è stata per anni contesa. Tra Etete ed Eni la trattativa è andata avanti attraverso due mediatori, il russo Ednan Agaev e lo stesso nigeriano Obi. Poi, però, il mega affare è stato concluso con un accordo tra il governo nigeriano e il colosso italiano. Etete era stato infatti accusato di averla sottratta al suo governo, che ha così firmato con l’ex ministro una transazione, si è ripresa la concessione e l’ha girata all’Eni. L’accordo è stato raggiunto alla cifra di un miliardo e 92 milioni di dollari, al quale si aggiungono 200 milioni incassati dal governo come bonus dalla Shell, interessata alla concessione insieme all’Eni. Tutto era emerso, ha spiegato il Fatto, perché Obi e Agaev avevano trascinato in giudizio la società Malabu: non erano stati pagati con i 200 milioni pattuti con Etete. Obi ha poi vinto la causa.

LA DIFESA DI ENI – Di fronte all’apertura dell’inchiesta sulla partita della concessione nigeriana, Eni ha rivendicato al Fatto la «totale correttezza del proprio operato nella transizione», precisando di voler «offrire la massima collaborazione ai magistrati». Non senza ricordare come la concessione sia stata assegnata nel 2011 a Eni e Shell dal governo nigeriano e come nessun accordo sia stato raggiunto dal colosso con la società Malabu.

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