Perché il populismo uccide la vera democrazia

27/05/2014 di Redazione

In questa campagna elettorale europea si è fatto un gran parlare della parola populismo, che a braccetto con demagogia è stata sicuramente una delle leve più usate da una parte e dall’altra per spostare voti alla vigilia dell’apertura delle urne.

Un problema non solo italiano, anzi: a ben vedere, è forse ora qualche altro paese europeo a soffrirne maggiormente, almeno stando ai risulati delle elezioni europee, per certi versi stranianti rispetto all’opinione che avevamo di noi stessi e dei paesi accanto a noi.

Ora è accaduto che comunque il populismo ha vinto le europee: forse non da noi, dove comunque ha ottenuto ottimi risultati considerando anche la Lega, ma altrove sì. E nonostante si sia tentato di dare alla parola un’accezione positiva (“Siamo populisti, siamo con il popolo”) il populismo è il male che rischia di distruggere la democrazia, almeno quella che conosciamo.

2. Per estens., atteggiamento ideologico che, sulla base di principî e programmi genericamente ispirati al socialismo, esalta in modo demagogico e velleitario il popolo come depositario di valori totalmente positivi. Con sign. più recente, e con riferimento al mondo latino-americano, in partic. all’Argentina del tempo di J. D. Perón (v. peronismo), forma di prassi politica, tipica di paesi in via di rapido sviluppo dall’economia agricola a quella industriale, caratterizzata da un rapporto diretto tra un capo carismatico e le masse popolari, con il consenso dei ceti borghesi e capitalistici che possono così più agevolmente controllare e far progredire i processi di industrializzazione. In ambito artistico e letterario, rappresentazione idealizzata del popolo, considerato come modello etico e sociale: il p. nella letteratura italiana del secondo dopoguerra.

Secondo Treccani, il populismo, nato come fenomeno (e movimento contadino) in Russia attorno alla metà del XIX secolo, è quell’atteggiamento ideologico che tende a indicare il popolo – appunto – come l’unico depositario di valori positivi quali verità, onestà, e via dicendo. Nel passato si è estrinsecato in forme di governo in cui il rapporto fra il leader carismatico e la massa sembra forte e identitario (sembra perché poi a decidere mica è il popolo). Oggi invece sembra più un metodo, per alcuni, di raggiungere facilmente ottimi risultati elettorali estremizzando paure della maggioranza delle persone, per trarre da esse un subitaneo ritorno elettorale anche in assenza di un programma di governo strutturato. Più in generale, il populismo di oggi è appropriarsi di un problema sentito – ma non per questo reale – facendolo diventare un “programma” senza soluzioni, o con soluzioni veloci che piacciono alla “pancia” ma spesso e volentieri rappresentano diversi problemi dal punto di vista della democrazia (basti pensare alle campagne elettorali contro lo straniero)

Già questo basterebbe a far capire quanto pericoloso possa esserne il proliferarsi di questo nuovo populismo: in primis, il popolo non è certo uno, ma una moltitudine di “gruppi di interesse” che a volte si ‘intersecano’ rispetto a un interesse comune e a volte no. Certo, si potrebbe obiettare, i cittadini hanno un unico interesse comune, cioé quello di vivere al meglio nel loro Stato. In fondo questo è il patto principale su cui si basa l’esistenza stessa di una forma di aggregazione politica (lo Stato, appunto), nato per far sì che tutti quelli uniti dal patto potessero dallo stesso trarne vantaggio.

Perché quindi è nato lo Stato, se i cittadini/popolo sono depositari del bene assoluto? Perché tutti questi gruppi di interesse spesso vanno per strade discordanti, o hanno diverse idee su come risolvere lo stesso problema. Il compito dello Stato è quello di mediare queste forze, pensando alla maggioranza di chi lo abita, affinché possa trarre ogni giorno un plus dal suo essere cittadino.

La democrazia è, tra le altre cose, infatti proprio questo 

Forma di governo in cui il potere risiede nel popolo, che esercita la sua sovranità attraverso istituti politici diversi; in partic., forma di governo che si basa sulla sovranità popolare esercitata per mezzo di rappresentanze elettive, e che garantisce a ogni cittadino la partecipazione, su base di uguaglianza, all’esercizio del potere pubblico

Potere al popolo, in democrazia, significa che ognuno deve essere rappresentato nei suoi “interessi” da chi elegge per farlo. E’ certo, è ovvio che oggi ciò non accada: perché? Perché chi è stato eletto non ha poi tenuto fede al “contratto” firmato con il suo datore di lavoro (la parte di popolo che lo ha eletto) e nessuno ha controllato che lo facesse, nemmeno lo stesso popolo.

Il populismo, che elegge il popolo a unico depositario del bene, rovescia il senso stesso di democrazia laddove precisa che solo il popolo può governare sè stesso. Ma come abbiamo visto, il popolo non esiste. Esistono tanti popoli con tanti diversi interessi che, in assenza di un “mediatore” come lo Stato, vivrebbero in anarchia sotto la legge del più forte. Ed ecco che quindi le minoranze non avrebbero alcuna possibilità di essere rappresentate, giacché deboli. E qui veniamo al secondo motivo per cui il nuovo populismo per sua natura si candida a distruggere la democrazia: essendo alla ricerca spasmodica di un problema “abbastanza” sentito da poter garantire la vittoria, il populismo 2.0 si candida a dividere “il popolo” anziché unirne gli interessi, mettendo i vari gruppi l’uno contro l’altro e distorcendo di fatto il concetto stesso di democrazia, che si basa invece sull’unione.

Senza contare affidare al popolo la soluzione a quei problemi della cui soluzione il popolo stesso aveva investito lo Stato, è un’involuzione culturale che rischia di farci scivolare nella condizione di quei paesi oggi scossi da guerre civili fra bande di interesse in cui chi spara di più vince. Uno scenario orribile, per fortuna lontano, ma non per questo da dimenticare. Uno scenario che ci richiama alle nostre responsabilità di cittadini che formano uno Stato, e non che si sostiuiscono a esso. E sarebbe forse il caso di capirlo.

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