La rabbia e la speranza

Immutabile. E’ questo forse l’aggettivo che meglio di tutti si presta a descrivere gli ultimi venti anni di questo paese. Un ventennio partito all’alba di Tangentopoli che sembrava, invece, annunciare una vera e propria rivoluzione. Venti anni di promesse mancate, venti anni di disillusioni, venti anni di occasioni mancate.

L’attuale presidente del Consiglio Matteo Renzi, parlando all’ultima direzione del Partito Democratico, ha detto che le prossime elezioni sono un “derby” tra “rabbia e speranza”, individuando nella rabbia il Movimento 5 Stelle e nella speranza il “Partito Democratico”.

In realtà, andando oltre gli schieramenti dei partiti, io credo che entrambi i sentimenti, rabbia e speranza, siano del tutto legittimi e che, anzi, sia logico che vivano a braccetto oggi come oggi nel nostro paese.

Non può che essere arrabbiato, per esempio, chi oggi in Italia ha meno di 40 anni. Arrabbiato con una classe dirigente che – immobile – ha assistito al declino dell’Italia, mettendo sempre e costantemente gli interessi personali e di parte davanti a quelli del paese. Una classe dirigente che ha costruito un paese ingiusto per i giovani e meno giovani.

Per la cosiddetta “generazione perduta” è praticamente impossibile trovare un lavoro a tempo indeterminato, permettersi un affitto, avere un salario accettabile o un minimo di stabilità nella costruzione della propria vita. Una generazione, quella dei nati negli anni 70 e primi anni 80, che ha già messo nel cassetto i propri sogni. Per questo motivo la rabbia è legittima. Più che comprensibile. Non si vede un solo motivo per il quale un trentenne di oggi non debba puntare sul “ribaltare” il tavolo. Perché, dovrebbero avere ancora fiducia nel sistema Italia? Non basta certo un coetaneo a Palazzo Chigi da tre mesi per cambiare queste valutazioni. Ci vorrà tempo.

D’altra parte, altrettanto legittimo e doveroso, è mantenere la speranza. Perché senza speranza non c’è più nulla che ci spinga ad andare avanti, nessuna cosa per la quale è giusto impegnarsi o continuare a sacrificarsi. Per questo è giusto coltivarla, tenerla viva.

Anche noi, pur documentando la rabbia, gli scandali e i privilegi della casta o dei baroni universitari, continueremo ad alimentare la “fiammella” della speranza. Perché oltre alla rabbia e alla protesta, ci deve essere anche la proposta. Perché insieme alla “rottamazione” – come la chiamerebbe Matteo Renzi –  ci deve essere la costruzione.  Non si può essere d’accordo con “benaltristi” di professioni o catastrofisti a gettone. L’Italia è un malato dalla prognosi difficile ma non disperata. Siamo sicuri che l’unica “medicina” che possa salvarla siano quegli eterni Peter Pan che hanno tra i 20 e i 40 anni. La generazione che qualcuno chiama perduta, ma che – invece – è stata semplicemente lasciata ai margini.

Qualcuno vorrebbe continuare a tenerla in panchina: sono i “poltronissimi”, quelli che, magari dal 68 si sono imbullonati alle poltrone senza soluzione di continuità. Noi di Giornalettismo, invece, vorremmo farli scendere finalmente in campo.

 

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