Il mondo che affonda e come si rimedia

30/04/2014 di Mazzetta

Visto che il ciclo che alimenta il riscaldamento globale non sembra arrestabile, i più lungimiranti e solvibili tra i più minacciati, hanno cominciato a pensare come fronteggiarne le conseguenze.

Male-Maldive
Male-Maldive

SALE L’ACQUA, CALA LA TERRA – La perdita delle spiagge e lagune può essere una conseguenza sgradevole, ma non definitiva perché altre spiagge e altre lagune si formeranno, ma l’avanzare del mare all’interno di alcune delle maggiori megalolopoli del pianeta non può essere preso con altrettanta filosofia, tanto più che si tratta di aree nelle quali in diversi casi lo sprofondamento del terreno farà concorrenza all’innalzamento delle acque. In certe zone della capitale indonesiana di Jakarta ad esempio, il terreno sprofonda a una velocità 10 volte superiore. Accade perché ogni costruzione e ogni ristrutturazione aggiunge peso, mentre il prelievo dalle falde idriche svuota il sottosuolo fino a rischiare che le acque del mare invadano gli acquiferi e mettano a rischio le riserve idriche di milioni di persone. Il dato è stato presentato insieme ad altre considerazioni all’assemblea generale della European Geosciences Union a Vienna nei giorni scorsi e s’aggiunge a un quadro già fitto di conseguenze indesiderate dell’antropizzazione sfrenata. I geologi lamentano l’indifferenza per la minaccia della subsidenza e sembra un film già visto.

SI ALZANO LE DIGHE – L’unica soluzione plausibile da qui alla fine del secolo, quando le acque potrebbero essere salite da poco più di un metro a due, è quella di costruire barriere a protezione degli abitati e delle infrastrutture dove si può o a programmarne lo spostamento dove non sia economico farlo o non ci siano i soldi per farlo. In California ad esempio è già stato programmato lo spostamento di un’autostrada costiera  e dei relativi flussi di traffico all’interno in vista dell’inevitabile, Shanghai ha messo a bilancio miliardi di dollari per proteggere la megalopoli esplosa su una laguna negli ultimi decenni e anche New York dopo le inondazioni portate dall’uragano Sandy ha cominciato a progettare difese, buona parte di Long Island e del territorio metropolitano costiero sono troppo basse.

LE DIGHE NON SONO PER TUTTI – E ancora più bassi sono interi paesi come le Maldive o le nazioni che occupano gli atolli del Pacifico, che non potranno fare altro che sparire, perché una cosa è proteggere una parte di costa sotto il livello del mare, tutt’altra cosa è riuscire a salvare intere isole dall’identico destino quando la loro altezza media sul mare non arriva ai due metri e già oggi basta una perturbazione violenta o un modesto tsunami per inondarle completamente. Simile destino per quei paesi che hanno i centri nevralgici affacciati sul mare e poche possibilità e risorse per difenderli. La Nigeria ha spostato la capitale ad Abuja, nell’interno, ma non la megalopoli costiera che resta Lagos e così come altri paesi che dipendono da un porto o da un hub marittimo, potrebbe subire conseguenze enormi e destabilizzanti sul piano economico.

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