Le mani di Renzi sui conti correnti

La relazione tecnica e l’articolato del decreto legge sul bonus fiscale da 80 euro hanno evidenziato ciò che appariva chiaro fin dall’inizio dall’annuncio del taglio delle tasse fatto dal presidente del Consiglio Matteo Renzi. Vista la difficoltà, politica e non, del taglio della spesa, l’intervento sull’Irpef  e Irap avrebbe potuto trovare le coperture necessarie solo dall’aumento della tassazione, e così è stato.  L’incremento dell’imposizione sulle rendite finanziarie, ovvero i frutti del risparmio, colpisce, oltre ad investimenti  come azioni e obbligazioni, anche i depositi bancari così come i certificati di deposito. Le tasse aumentano per i nettisti, ovvero i risparmiatori privati, mentre i lordisti, ovvero soggetto quali i grandi operatori finanziari, vengono esentati. Si colpisce di conseguenza il conto corrente della piccola azienda e del piccolo risparmiatore, mentre chi ha soldi per fare investimenti nel BTP Italia – taglio minimo da mille euro – ne viene esentato. Per recuperare denaro il governo Renzi ha così deciso di punire anche il simbolo dei piccoli accantonamenti di chi lavora, ovvero i soldi depositati sui conti correnti. Da questo tipo di aumento di tassazione il quotidiano Il Sole 24 Ore ha calcolato che arriveranno circa 750 milioni di euro nel 2015, e più di un miliardo nel 2016.

La misura del governo Renzi è una classica manovra di repressione finanziaria, visto che lo Stato scoraggia ogni forma di risparmio privato, dal deposito bancario alle azioni ad altre forme di investimento, mentre l’aliquota sui titoli di Stato rimane costante, al 12,5%. Il governo, mascherando questa manovra con parole quali equità sociale e redistribuzione della ricchezza, mira ad aumentare la quota di obbligazioni sovrane detenute da investitori domestici. Quando la crisi è scoppiata, più di metà dei nostri titoli di Stato erano in mano ad investitori stranieri, ora invece la netta maggioranza è in mano a banche o cittadini italiani. Con simili misure si rafforza l’ipotesi di un’imposizione patrimoniale per ridurre l’indebitamento pubblico, ma al momento questa è solo una suggestione, anche se non si vede altra via per riportare il nostro rapporto debito/Pil su livelli più sostenibili. Sicuramente la strada della crescita appare preclusa, alla luce di una congiuntura sempre più fiacca in eurozona, minata dalla tendenza deflazionistica in atto.

Il governo Renzi, nelle sue stime del Def, reputa che lo stimolo sulla crescita provocato dallo sgravio fiscale degli 80 euro sia contenuto, anche a causa di tagli di spesa recessivi. Per coprire il bonus ai lavoratori dipendenti da 1500 euro, si arriva a colpire i conti correnti di tutti i cittadini, senza alcun intervento in supporto delle fasce più deboli della nostra società, come gli incapienti, i disoccupati o una parte rilevante delle partite IVA. La giustizia sociale non sembra ispirare un provvedimento che al momento appare un mal riuscito spot elettorale, pasticciato e confuso. Vista l’enfasi dedicata alla comunicazione dal presidente del Consiglio, il molto tardivo risveglio dei media italiana sulla nuova tassazione dei conti correnti – non crediamo che la più precisa definizione di rendita da deposito bancario cambi qualcosa, nella sostanza – possa risvegliare qualche neurone a Palazzo Chigi. Matteo Renzi cercava nel decreto legge sull’Irpef la spinta per vincere in modo chiaro le elezioni europee, ma aver toccato i conti corrente in modo così maldestro rappresenta un significativo rischio intrapreso, chissà quanto consapevolmente, dal leader del PD.

 

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