La questione shakespeariana

Nasceva il 23 aprile di 450 anni fa William Shakespeare. Vogliamo anche noi ricordarlo al nostro modo usuale, cioè vergognandoci per qualcuno o qualcosa. E cosa c’è di più vergognoso nella storia della letteratura della cosiddetta «questione shakespeariana»? Forse solo l’altra grande fregnaccia: «la questione omerica». Date pure a questo punto un calcio nel sedere ai dotti invidiosi. Queste questioni nascono infatti da insana passione, non dallo studio: o meglio, dallo studio asservito all’insana passione. E specificamente quella che agli spiriti meschini al cospetto della più naturale grandezza ha sempre messo in bocca queste fatali parole: «Ma chi è questo? Non è forse il figlio di quel bifolco?» Questo bel tipo sbucato fuori dal nulla – Will – già in vita dovette subire una sorda ostilità, una sorta d’incredulità, alla quale – questo lo dico io, naturalmente, e naturalmente mi basta – rispose indirettamente anche attraverso le opere. Mi spiego. All’inizio dell’“Enrico V” assistiamo ad una conversazione tra l’Arcivescovo di Canterbury e il Vescovo di Ely. Il primo si dilunga sulla repentina trasformazione dello scapestrato principe Harry in un re di meravigliosa saggezza: «è una meraviglia come possa averla raggranellata, data la sua precedente dedizione ad abitudini oziose, fra compagni incolti, villani e superficiali, le sue giornate tutte piene di bagordi, baldoria e sollazzi, senza che mai si notasse in lui alcuno studio, raccoglimento in sé o appartarsi dai pubblici ritrovi frequentati dalla plebe.» Il secondo spiega: «La fragola cresce sotto l’ortica e bacche salutari prosperano e maturano meglio a contatto con frutta di qualità inferiore, e così il principe occulto la sua giudiziosità sotto il velo della sregolatezza; ed essa, senza dubbio, crebbe, come l’erba d’estate, più rapida di notte, non vista eppur rigogliosa per naturale impulso.» Io sono convintissimo che con queste parole Will (lo chiamo così perché dei grandi – ci capiamo – mi sento sempre naturalmente amico) alludesse polemicamente alla sua vicenda personale. Lo sentii «per naturale impulso», la prima volta che le lessi. Ma come fai ad esserne così sicuro? Direte voi. E che ne so? E che m’importa? Anch’io mi sento grande, grandissimo.

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