Idrato di metano: il petrolio del futuro?

Si tratta di un carburante sporco o della soluzione al problema energetico? È questo uno degli interrogativi che si pongono negli ultimi anni in maniera sempre più frequente gli studiosi interessati allo sviluppo industriale e alla tutela dell’ambiente del nostro pianeta. La domanda degli esperti riguarda in particolare un idrato di idrocarburo, l’idrato di metano, una risorsa abbondante e ancora da sfruttare della quale si occupa oggi un articolo della Bbc a firma del giornalista Richard Anderson.

 

idrato di metano

 

I VANTAGGI – Noto anche con il nome di «Fire ice», «Fuoco di ghiaccio», l’idrato di metano – spiega la stampa britannica – si presenta come composto cristallino simile al ghiaccio con il metano naturale intrappolato all’interno, si forma in condizioni di temperatura estremamente bassa ed alta pressione, ed è presente in particolare nelle zone polari ai margini dei continenti o sotto il fondale degli oceani. L’interesse degli scienziati è legato soprattutto alla portata dei giacimenti. Stanto al parere, ripreso dalla Bbc, di Christopher Rochelle, del British Geological Survey, «le stime suggeriscono che c’è circa la stessa quantità di carbonio in idrati di metano e in qualsiasi altro deposito organico della terra». In altre parole potremmo ricavare più energia dagli idrati di metano che da petrolio, altri gas e carbone messi insieme. Ma non solo. L’interesse per questo tipo di risorsa deriva dal fatto che basta abbassare la pressione o aumentare la temperatura per liberare metano e che un solo metro cubo di composto per ottenere circa 160 metri cubi di metano, deriva cioè dal fatto che oltre all’abbondanza delle riserve va considerato un semplice processo per la produzione di energia.

I RISCHI – Non mancano tuttavia, i problemi. Nell’analisi dei costi e dei benifici per lo sfruttamento della nuova fonte di energia va infatti considerata – spiega ancora la Bbc – la difficoltà nel raggiungere i giacimenti sotto l’oceano, ad una profondità solitamente maggiore ai 300 metri con temperatura dell’acqua inferiore ai 2 gradi, i rischi per la possibile destabilizzazione del fondale, e, infine, la minaccia della fuga di metano. Già, la fuga di metano. Studi recenti dimostrano – scrive Andreson – che questo gas comporta gravi conseguenze per il riscaldamento globale e che risulta circa 30 volte più dannoso dell’anidride carbonica.

LE RICERCHE IN CORSO – Insomma, il complesso confronto tra vantaggi e svantaggi e i nodi tecnico scientifici ancora da sciogliere sono il motivo per il quale lo sfruttamento non è mai realmente cominciato, anche se molti paesi stanno avvicinandosi a rendere l’ipotesi concreta. Che si tratti di un enorme potenziale, oramai, sembrano averlo capito tutti i paesi più ricchi. Stati Uniti, Canada e Giappone hanno già investito l’equivalente di milioni di dollari in ricerca e test, seguiti a ruota dai paesi emergenti come Corea del Sud, Cina e India. Gli americani, in particolare, hanno avviato un programma di ricerca e sviluppo già nel lontano 1982, completando poi la loro valutazione sui giacimenti già nel 1995. Ma estremamente interessato alla questione si mostrano anche i giapponesi, che risultano essere oggi i principali importatori di gas al mondo e che potrebbero, di conseguenza, trarre dalle innovazioni un fondamentale vantaggio commerciale.

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