La condanna dell’Unità per diffamazione

Libero racconta oggi una storia di diffamazione che vede coinvolti Conchita De Gregorio all’epoca in cui era direttore dell’Unità e Nicola Biondo, all’epoca collaboratore del quotidiano fondato da Antonio Gramsci e oggi comunicatore alla Camera per il MoVimento 5 Stelle:

L’articolo di Nicola Biondo è cervellotico come è lecito attendersi dall’autore de Il patto, 368 pagine sulla «trattativa» edite ovviamente da Chiarelettere con prefazione ovviamente diMarco Travaglio. L’attuale addetto stampa diGrillo ha insistitomolto sul fatto che «il socio di Paolo Berlusconi è proprio il fratello del generale»: peccato che non fosse vero. L’inchiesta sulla ditta di costruzioniCo.Ge era già stata archiviata nel 1999,ma non è solo questo ad aver convinto il giudice, AnnaMauro,che«gliarticoli in esame hanno un oggettivo contenuto diffamatorio». «Il nucleo di tutta la ricostruzione», si legge infattinella sentenza, «è costituito dalla partecipazione del fratellodelgeneraleMori». Ilquale, semplicemente,non era il fratellodelgeneraleMori, cheoltretutto si chiama Alberto e non Giorgio.

Un errore, quindi:

«Ma un errore materiale di chi ha compilato il rapporto », scriveva invece Biondo, «ha cambiato il nome vero, Alberto, inGiorgio».Dettaglio:non è vero neanche questo. Una dichiarazione della Dia ha poi chiarito cheMoriGiorgio «non risulta sia mai stato indicato quale fratello del generale, né che lo stesso sia stato oggetto di errore materiale ». Dunque? Può essere che da principio anche la Dia, banalmente, nel lontano 1999, abbia preso lucciole per lanterne e quindiabbia sbrigativamente sostenuto che talGiorgioMori fosse fratello diMarioMori: non ha importanza, perché tanto è falso, e Nicola Biondo in ogni caso si è dimenticato di verificare. Ne consegue che una qualsiasi carta giudiziaria, peraltro vecchia e soprattutto smentita, non è il Vangelo: dunque «i giornalisti», spiega ancora la sentenza, «hanno fornito ai lettori notizie non rispondenti al vero, frutto di un lavoro di ricerca non diligente e di un’interpretazione alterata dei fatti… ciò rivela un’esplicita e chiaravolontà offensiva, risultando peraltro non solo distorta la realtà, ma utilizzata una forma espositiva aspra e tale da indurre il lettore alla formazione di un convincimento certo assolutamente negativo nei confronti dei due attori, giudicati quali persone spregiudicate e colluse con la mafia».

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