Le Iene e i militari italiani che torturavano a Nassirya

Dopo l’intervista della scorsa settimana ad un ex militare italiano che ha raccontato di torture avvenute nel 2003 all’interno della base del nostro contingente a Nassirya, in Iraq, Le Iene di Italiauno hanno raccolto la testimonianza shock di un’altro soldato che ha partecipato alla stessa missione di pace.

 

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LE BOTTE «PER FARLI PARLARE» – Il militare ascoltato dalle telecamere di Mediaset (e che nel servizio di Luigi Pelazza viene indicato con il nome di fantasia Angelo) dice di essere stato uno stretto collaboratore del generale che comandava l’interno contingente a Nassirya. In particolare Angelo dice di aver trascorso nella base quattro mesi e di aver visto e sentito parlare di torture per diverso tempo. Proprio come il suo ex collega, il militare conferma la presenza all’interno della base italiana in Iraq di un posto chiamato White House dove avvenivano «interrogatori un po’ particolari» di cittadini stranieri costretti ad essere incappucciati, legati con le mani dietro la schiena, inginocchiati, con le gambe incrociate in modo da non potersi rialzare, e malmenati per costringerli a fare rivelazione. «Dovevi farli parlare», dice Angelo.

 

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IL SISMI COINVOLTO – Stando al racconto del militare gli uomini destinati alle torture venivano prelevati dal Sismi, il servizio segreto militare italiano. «Il Sismi era dentro Nassirya», spiega il soldato. Sarebbero stati dunque, gli uomini del servizio segreto ad effettuare le retate e a condurre persone nella base militare. Alcuni prigionieri sarebbero rimasti per poco, altri per più tempo. «C’era gente che parlava immediatamente e c’era gente che gli piaceva prendere i colpi», continua Angelo, il quale dimostra alla troupe delle Iene di essere in possesso anche di un filmato che testimonia le torture.

 

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I PRIGIONIERI «ALLO STATO BRADO» – Una parte del video viene mostrata davanti alla telecamera nascosta di Italiauno e dalle immagini spuntano proprio gli uomini incappucciati e inginocchiati in una tenda militare in attesa di essere picchiati davanti alla sagoma di un uomo con il tricolore italiano cucito sulla divisa. Poi Angelo racconta della prigione nella quale i prigionieri venivano detenuti prima di essere torturati nella White House: un piccolo edificio buio dove si viveva allo stato brado, come gli animali, tra urina escrementi e sangue. Un «pollaio», lo definisce il militare. E racconta anche di come si svolgevano gli interrogatori. I prigionieri prendevano «legnate» ogni volta che venivano sottoposte a delle domande fino a quando non avrebbero fornito la loro risposta.

 

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LE SCOSSE ELETTRICHE COME IN SOMALIA – Ma il militare italiano parla anche di un caso specifico, di un sergente di un reparto speciale dell’esercito (lo stesso reparto avvvistato nei pressi dell’edificio dove avvenivano le torture a Nassirya) nel frattempo diventato sergente maggiore e che sarebbe specializzato nell’utilizzo della corrente elettrica per le torture. Si tratta delle stesse atroci tecniche di tortura denunciate già dal ’97, di ritorno dalla sua missione in Somalia, dal paracadutista italiano Michele Petruno, il quale alle telecamere delle Iene oggi ribadisce di aver sentito parlare nel campo somalo della morte di alcuni dei prigionieri vittima delle torture. Anche Michele, come il suo collega Angelo, mostra all’intervistatore immagini shock, come quella di un prigioniero incappucciato e legato ad un mezzo militare italiano e come quella di soldati intenti a colpire un uomo disteso a terra con scosse elettriche.

 

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IL MESSAGGIO 4 GIORNI PRIMA DELL’ATTENTATO – Poi il servizio de Le Iene ritorna su Angelo, che parla dell’attentato di Nassirya e di un messaggio arrivato quattro giorni prima dell’esplosione mortale. «C’è un messaggio arrivato l’8 novembre del 2003 dove ci dicevano: ‘Occhio, che dal 10 in poi voi siete sotto rischio di attentato. Lo dicevano gli Americani. Il 10 novembre questo messaggio è stato diramato, è stato reso pubblico anche a noi. Ci hanno detto: ‘Oh, apriamo un po’ gli occhi’. L’11 novembre se avessero voluto far saltare tutto avrebbero avuto l’occasione che volevano. Alla Maestrale, su nel piazzale, i capoccioni, tutti i capoccioni, cenavano. C’erano i comandanti dei Carabinieri, c’erano le persone del Sismi, se volevi fare il danno, quello era il giorno ideale. L’hanno fatto 9 ore dopo. Perché qualcuno gli ha detto di farlo il giorno dopo». Secondo Angelo, insomma, spiega Pelazza, chi ha realizzato l’attentato ha voluto dare un segnale forte, ma non ai militari, ma ai politici italiani.

 

(Fonte immagini: Le Iene / Italiauno / Mediaset)

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