«Se mio figlio si è suicidato è anche colpa mia»

«Mio figlio ha vissuto un disagio enorme ed io non ho saputo intuirlo. Forse non dovevo mettere quella pezza ogni volta che vedevo quei ‘momenti no’ di mio figlio. Forse dovevo essere più insistente, più incisiva e fare più domande. La forza di andare avanti la devi trovare dentro di te». E ancora: «La responsabilità di morti come queste è la responsabilità di tutti. Anche mia». È con queste parole che si è rivolta alle telecamere de Le Iene la mamma di Andrea, 14enne gay suicidatosi a Roma il 20 novembre 2012 per i ripetuti attacchi omofobi suiiti dai coetanei. Le parole della donna sono un invito a non discriminare e a provare ad aiutare tutte le vittime di derisioni per uscire dalla loro condizione di disagio.

 

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LA STORIA DI ANDREA – L’intervista di Sabrina Nobile mandata in onda nella puntata di ieri ripercorre la storia dell’adolescente, costretto al gesto estremo dopo essere stato perso in giro sia a scuola che sui social network, con una pagina Facebook appositamente creata per rivolgergli offese più brutte. Nel servizio si parla del dolore personale, della chiusura in se stessi e dell’incapacità di liberarsi delle stupide ma violente accuse. E si invita a farsi forza, per chiedere aiuto e non restare soli. «Quello che dico è rivolto soprattutto ai ragazzi – ripete la mamma di Andrea -: uscire fuori e di parlare».

 

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IL RACCONTO DI FRANCESCO – È un appello che sembra aver già ascoltato e raccolto, Francesco, un altro ragazzo omosessuale, che alle telecamere de Le Iene racconta di aver in passato tentato il suicidio. «Ero a casa – ricorda -, stavo lavando i piatti, ho pensato di non farcela. Prendo il detersivo e comincio a berlo. Qualcuno mi ha bloccato». Stesso accadimento una seconda volta: «Prendo dei tranquillanti. Provavo ad ingerirli, ma non ce l’ho fatta. Ho sentito sempre come qualcuno che mi bloccava». «Ovviamente – dice Francesco – quando qualcuno pensa al suicidio è perché non ce la fa più, è disperato, rimane solo, viene sempre deriso. Anche ora vengo sempre deriso, anche pesantemente». «A scuola mi dicevano ‘Mary per sempre’, ‘Frocio’, ‘Quanto ti prendi’, ‘Andiamocene nel bagno’. Mi sentivo diverso, (come se, nda) ero io ad essere sbagliato rispetto a loro che, alla fine, hanno una vita normale. Noi no». Un disagio vissuto anche nel rapporto con i professori e in famiglia. «Il professore di religione mi disse che ero come un bambino che nasce cieco. Da quel giorno non ho fatto più religione. Questa è una cosa che non posso dimenticare. Facevo anche il chirichetto». «A casa l’omosessualità è un tabù. Non si parla a casa. Il suicidio è una cosa per dire… non sono un problema per nessuno».

 

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I CONSIGLI DELLE ASSOCIAZIONI GAY – «A molti ragazzi (che hanno tentato il suicidio, nda) l’ultimo colpo o il primo glielo ha dato il social network», racconta a Le Iene Claudia Toscano, una ex insegnante che fa associazionismo al fianco di altri amici e genitori di ragazzi gay. «La prima causa di suicidio in Italia è l’orientamento sessuale», afferma invece Fabrizio Marrazzo, presidente di Gayhepline (linea telefonica di aiuto ai ragazzi discriminati). «I suicidi dei giovani gay non sono aumentati, l’unica differenza è che adesso di comincia a sapere che i ragazzi o le ragazze che si suicidano sono lesbiche o gay. Risulta che 9 omosessuali su 10 hanno pensato almeno una volta al suicidio. Consigliamo di utilizzare Facebook restringendo il profilo solo ai propri amici. I professori potrebbero far sì che i ragazzi».

 

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(Fonte immagini: Le Iene / Italiauno / Mediaset)

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