La vita da cani del veterinario freelance

«…Cerca medici veterinari, possibilmente uomini da inserire nei turni diurni, notturni e festivi». Non è un annuncio per un casting, no, è una proposta di lavoro indirizzata ai veterinari italiani. Giovani, carini e neolaureati non basta. Per sopravvivere nella giungla della medicina veterinaria occorre fegato, speranze e un giro di clienti sicuro già dopo la laurea. In Italia sono iscritti all’Albo professionale 28.994 medici veterinari (dati FNOVI – Federazione Nazionale Medici Veterinari Italiani). Secondo i dati forniti dall’Enpav (ente nazionale previdenza ed assistenza veterinari) i veterinari entro i 29 anni guadagnano sui 6 mila 847 mila euro netti l’anno (dati 2012). Ma la realtà, dei veterinari liberi professionisti racconta tutt’altro. «Perché voi giovani avete tutti questa pretesa di farvi pagare. Invece dovreste solo ringraziare perché vi facciamo il favore di insegnarvi qualcosa». Questa è una frase classica che si sente echeggiare tra i corridoi delle cliniche veterinarie e studi in Italia. Un esercito di giovani speranze che spesso si scontra con corsi a pagamento, paghe basse, niente garanzie.

Al Bioparco di Roma
Al Bioparco di Roma

CORSI COSTOSI E NOTTI DA DUE EURO  – Ci sono molte cose da rivedere. Il sindacato Sivelp le ha messe nero su bianco, indirizzandole al presidente del Consiglio Matteo Renzi. In primis la programmazione universitaria, ovvero dati reali su chi sceglie il corso di laurea, responsabilizzando chi questi dati li fornisce davanti alla possibilità di pochi sbocchi in Italia. Noi parlammo già qui, di meccanismi poco efficaci.  E gli esami non finiscono mai. Gli Ecm sono lo strumento che permette al professionista sanitario la formazione continua. Sono allargati anche ai privati. Peccato che però, essendo obbligatori, hanno dei costi (tra vitto e alloggio) molto alti. Un esempio? Occorre ottenere 50 crediti all’anno quando una giornata formativa  ne vale 3. Occorre quindi avere 15 giornate disponibili che, lavorando in settimana, si tramutano in 15 sabato/domeniche. A pagamento. «C’è l’accreditamento del corso al Ministero della Salute, ma è diventato un sistema all’italiana. Anziché avere una validità formativa ha creato il disgusto verso la formazione. Una volta qualcuno andava per imparare cose nuove, adesso con questo sistema e cifre assurde ha perso la passione», spiega Angelo Troi segretario nazionale SIVeLP (Sindacato Italiano Veterinari Liberi professionisti). Il costo per una giornata Ecm è in media 100 euro a cui si aggiungono pasti ed hotel. Moltiplicate per 15 la cifra e si capirà in breve che un neolaureato ha grossi problemi nel seguirli. «In certi casi alcuni ordini danno una mano nel settore ma si tratta comunque di soldi degli iscritti. A meno che non si trovano i fondi necessari dalle case farmaceutiche e così  la cosa ancora diventa più critica». Orari assurdi, turni festivi e paghe medie da 600 euro « Siamo arrivati a due euro e mezzo all’ora – spiega Troi – per fare le notti a Roma. Con una partita Iva non ne resta nemmeno uno. C’è una programmazione da fare e dei meccanismi autoreferenziali dove il laureato avrebbe un vantaggio in più rispetto agli altri, ma nella nostra realtà si trovano difficoltà. Basta guardare i dati medi Enpav».

L’IMPORTANZA DEGLI ECM – Le tariffe per i corsi Ecm, come spiega Matteo, giovane veterinario, sono proibitive: «Io ci metterei la firma che costassero 300 euro a botta. Poi, non tutti danno gli Ecm. Se io per esempio voglio fare un corso di ecografia, dove ci sono alcune società, devo segire una serie di corsi, cinque l’anno. Un corso di tre giorni, a Cremona, costa dagli 800 ai mille euro. Quindi tu paghi 5 mila euro, esattamente come un master, ma senza Ecm». Basta cliccare on line per notare che molti corsi non forniscono punti. «Se io voglio seguire ortopedia non è detto che ottenga Ecm, magari invece trovi Ecm per oncologia del gatto». Ecm peraltro che, a detta di chi li vive, nessuno di fatto controlla. Salvo poi quando l’avvocato ti chiede di aver i punti in regola nel caso di una causa da parte di un cliente in tribunale. E in mancanza di aiuti dagli ordini che si fa? Rete tra neolaureati per scambiarsi pareri, esperienze. Succede su Facebook, dove ognuno porta il suo micromondo regionale in fatto di Ecm. Ci sono ordini che forniscono tarrifari, altri no. «Si dovrebbe tirare fuori un tariffario minimo sia per le prestazioni, sia per le assunzioni» suggerisce Matteo.

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LE CIFRE DELLA CRISI – Recenti stime parlano di 28 mila veterinari nel Paese, di cui però circa 20 mila sono liberi professionisti. In diversi tra loro non riescono a guadagnare quanto dovrebbero. Il Ministero della Salute calcola come necessità media per l’anno accademico 2014-2015 9.500 medici, 844 odontoiatri e 657 veterinari (nonostante i tanti iscritti nei corsi universitari). Con la crisi diminuiscono anche le possibilità di guadagno. Secondo i dati Eurispes, diffusi nel Rapporto Italia, la presenza di almeno un animale in casa è in diminuzione (55,3% nel 2013). Per colpa della crisi crescono gli affidi. E per 48,2% dei veterinari intervistati sono aumentati negli ultimi anni i clienti che chiedono il loro aiuto per affidare ad altri i propri animali, non riuscendo però a sostenere le spese per mantenerli. Diminuiscono anche le adozioni. Il  44,3%  dei veterinari sostiene che la disponibilità alle adozioni  è diminuita. Un altro problema sono gli studi di settore. «Un neolaureato molto spesso inizia a lavorare con partita Iva. Se non arriva a denunciare una certa cifra è costretto a “versare” la differenza allo Stato». Spesso capita quindi che anche davanti ad uno studio proprio (in mutuo), vivendo però a casa dei genitori e con il lavoro tracciato con ricevute, se c’è crisi la Agenzia delle Entrate viene a chiederti spiegazione di tali cifre. Spesso, anziché finire in Commissione tributaria (con varie spese), si finisce col trattare. E versare, a colpi anche di tremila euro. «Spesso – precisa Troi – chi vuole comperare un apparecchio specialistico preferisce fare una raetizzazione proprio per evitare problemi con gli studi di settore. Il problema è fare della corretta informazione in merito. Anche sulle spese. Noi in media in Italia abbiamo un costo medio di 4500 euro per ogni partita Iva». «La cosa sconvolgente – spiega Matteo – è che io pagato 8 euro all’ora lorde pago le stesse cose di un veterinario, titolare della clinica, che prende 3 mila e 500».

Dati Enpav
Dati Enpav

TUTTE LE SPESE DEI GIOVANI FREELANCE – Quali sono le spese per chi deve iniziare il mestiere? Chiara, giovane veterinaria, precisa: «Tantissime. Si inizia con l’esame di stato per l’abilitazione, si passa poi per l’iscrizione all’ordine e dall’anno scorso l’assicurazione per danni a terzi, tutte cose senza le quali non si può lavorare». Non solo a questo si ggiunge anche l’Enpav: «Il pagamento dei contributi ENPAV, obbligatori anche per chi è a reddito zero. Ci sono poi i costi per la formazione, che deve essere continua e costante (e obbligatoria), dal tirocinio, spese di vitto, alloggio come minimo, al corso professionalizzante, il convegno, gli ECM e vari ed eventuali percorsi di specializzazione e master. Tutti a carico del libero professionista e tutti a pagamento». Ci sono poi i costi “imprescindibili”: «Chiamiamoli così, la macchina e tutti i suoi annessi e connessi, per spostamenti e trasferte. Per quanto riguarda la messa “in proprio”, dal professionista freelance al piccolo ambulatorio ci sono degli enormi costi fissi, che però possiamo considerare un investimento per chi può. Per arrivare chiaramente alle tasse. L’iva imposta alle prestazioni veterinarie, aggiunta alle altre ritenute e 2% dell’ ente di previdenza, è del 22%, facendo due conti, le ritenute da fattura sono circa il 50%», racconta la ragazza. E le agevolazioni? «Le agevolazioni, beh, mi viene un po’ da ridere, che dirti, le agevolazioni ci sono…sono quelle statali applicate a tutti i liberi professionisti, come ad esempio la fatturazione a prestazione occasionale, che ti evita l’apertura di una P.Iva, ma solo se fatturi meno di 2.000€ l’anno o fai meno di dieci fatture». Il primo anno ENPAV è gratuito: «I contributi – spiega – si pagano sull’anno di lavoro precedente. Il secondo è al 33% del minimo, il terzo al 50%. Dal quarto si va a “prezzo pieno”, unica pecca, è che va pagato anche da chi è a reddito zero». «Ci rendiamo conto – aggiunge Matteo – che da un vaccino che io metto a 30 euro ad uno Stato sto regalando il 46 per cento? Dopo che davanti ad un professore all’Università mi sono seduto 72 volte?».
E l’Irpef? Al 23 per cento. Anche se i datori versano per l’Enpav i 6/8 euro all’ora rimangono tali. Così ci si inventa. Due, tre posti contemporaneamente. Laboratori, cliniche, studi. A volte tra direttori ci si mette d’accordo per dividersi il veterinario. «Tipo una tratta – si ironizza – spesso si chiede, o meglio si pretende di sostituire il capo la domenica o alle ferie». E l’altro capo? «Si adegua». Situazioni che possono diventare scomode per un precario tra due fuochi.

L’IMPORTANZA DI ESSER VETERINARI – «Loro – spiega Matteo – sanno che uscendo dall’Università non impari molto sulla pratica. Per esempio: non ci viene insegnato nulla nel rapporto col cliente. Negli altri paesi ci sono interi dipartimenti che trattano la materia. Non sto parlando degli Stati Uniti ma del Mozambico. Alcuni miei colleghi volevano preparsi sulla gestione del cliente. Li ho aiutati io». Sembra una banalità ma bisogna esser preparati davanti alla scelta se abbattere o meno un animale. «Molti non lo sanno che i veterinari fanno più esami dei medici per umani. E che moltissime malattie degli animali possono esser trasmesse agli umani. Noi siamo una tutela per la salute pubblica. Lei lo sa che gran parte delle scatole di alimenti che finiscono nei market sono controllati da noi veterinari? Io oggi ho diagnositcato una leishmania dove il carne diventa serbatoio di questa malattia e sono obbligato nel denunciare alla Asl la diagnosi. Noi però, in tutto questo, non veniamo tutelati dallo Stato» Matteo è retribuito con 8 euro lordi circa all’ora. Qualche collega ha deciso di lasciare: «Conosco dieci colleghi che, se fossero rimasti qui, avrebbero reso il Paese una chicca per la medicina veterinaria. Io non vado all’estero, forse perché, al di là delle paghe, ho alcune esperienze aperte».

SCAPPA VETERINARIO SCAPPA – Se l’avventura non va bene c’è sempre l’estero. «Ci sono persone -spiega Troi – che hanno smesso di fare il veterinario facendo altro: aprendo una friggitoria, diventando geometra. Tra i nostri iscritti circa il 5 per cento tende ad emigrare nei primi anni di adesione. Un veterinario costa 60 mila euro l’anno allo Stato. E questi sono tutti “investimenti” che poi vanno via». Mollare? Basta sentire le parole di Matteo e Chiara per non demordere. «I tariffari minimi  – spiega Chiara – tolti purtroppo molto tempo fa,  non hanno giovato alla professione, tanto meno alla professionalità e al professionista che si trova a dover fare una corsa al ribasso delle proprie parcelle, concorrendo spesso con colleghi scorretti e approfittatori». Sfide e offerenti. Alcuni colloqui hanno la squisita forma di sessismo. Chiara ne ricorda ironicamente uno: «”Quindi lei, signorina…”,”Dottoressa…”,”Sì beh…quello…ha intenzione di mettere su famiglia?”». Ma gettare la spugna no. No, nonostante tutto: «Nei ringraziamenti per la tesi – spiega Matteo – ci sono anche io. Quando tutte le sere pensavo di mollare gli studi la mattina mi rialzavo di nuovo e mi mettevo davanti ai libri». La cosa che però ha messo nero su bianco quello sforzo è stato il nonno che, il giorno prima di andarsene via, ha pronunciato solo una frase, tutta per Matteo: «Stava sempre a letto – ricorda – quel giorno si alzò in piedi e mi disse “Non mollare”. Io amo il mio lavoro».

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