Forteto: la comunità degli abusi e l’indagine per truffa

07/03/2014 di Alberto Sofia

I responsabili del Forteto non dovranno difendersi soltanto dalle accuse di maltrattamenti e, nel caso del fondatore Rodolfo Fiesoli, di violenze sessuali sui minori. Un nuovo fascicolo con l’ipotesi di truffa su fondi pubblici è stato aperto dalla Procura di Firenze nei confronti di chi gestiva la cooperativa di recupero per minori del Mugello, ribattezzata come «la comunità degli abusi» dal programma tv “Le Iene”. Sul “guru” del centro e gli altri vertici pesa adesso anche l’accusa di aver ricevuto finanziamenti pubblici per attività che investigatori ed inquirenti sospettano non siano state in realtà mai effettuate. Come ha spiegato anche la Nazione, è stata la Guardia di Finanza a presentarsi negli uffici della comunità per acquisire documenti, computer e palmari.

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Le erogazioni nel mirino degli investigatori sarebbero quelle ricevute dalla Regione Toscana per convegni e attività formative tra il 2002 ed il 2008. Le stesse erogazioni erano state anche al centro della relazione della commissione d’inchiesta del Consiglio regionale nella quale si sottolineava che esse erano state concesse nonostante Fiesoli fosse già stato condannato nel 1985 per atti di libidine violenta, corruzione di minore e maltrattamenti. I difensori degli imputati hanno protestato contro l’acquisizione dei pc e palmari da parte della Gdf, poiché su quelle memorie informatiche ci sarebbero anche i risultati delle indagini difensive dei loro assistiti.

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IL CASO FORTETO E IL PROCESSO PER MALTRATTAMENTI E ABUSI SESSUALI – Il nuovo fascicolo con l’ipotesi di truffa è stato aperto mentre proseguono in questi giorni le testimonianze choc da parte di alcuni ragazzi del centro, durante il processo per maltrattamenti e violenze sessuali (nel caso di Fiesoli) contro 23 responsabili del centro. Proprio due giorni fa era stata ascoltata dai giudici una teste che aveva vissuto per 30 anni al Forteto, fino al 2008. Aveva spiegato come sia lei che altri bambini credessero che lo stesso Fiesoli, detto “il Profeta”, avesse il potere di  «leggere nella mente degli altri». Anche per questo l’uomo, oggi 71enne, era temuto all’interno del centro. Ma non solo. La donna ha aggiunto che,  «entrata nell’età dell’adolescenza», arrivarono dagli adulti del Forteto pressioni sulla sua vita sessuale.  «Sono stata spesso in punizione perché secondo lui avrei dovuto spiegare agli adulti le mie fantasie sessuali, anche se non le avevo», ha raccontato. Repubblica Firenze ha raccontato altri dettagli sulla testimonianza:

 «Rodolfo Fiesoli e altre donne mi dicevano che per avere rapporti più profondi con una mia coetanea bisognava coinvolgersi fisicamente. Ad esempio “toccarsi il seno o le parti intime”. Mi fu detto di diventare lesbica, ma io risposi: fatelo voi. Ero una ragazzina».

La teste era la nipote di uno dei 23 imputati, Luigi Goffredi, considerato un “fedelissimo” di Rodolfo Fiesoli. La donna è cresciuta all’interno della comunità con il padre – che adesso lavora come dirigente della cooperativa agricola – e la madre, che ce la portarono quando aveva 3 anni. A 30 anni, nel 2008, decise poi di andare via dal centro.

IL FORTETO E GLI ABUSI – Non è stata l’unica a raccontare cosa avveniva all’interno del centro, tra maltrattamenti e abusi. Anche la Nazione riportò le dichiarazioni di un altro teste che spiegò come un bambino fosse stato costretto a dire che la madre lo cedeva a un pedofilo. Si legge:

 «Fu costretto a mentire contro la madre dicendo a un pubblico ministero che la mamma aveva preso soldi da un pedofilo. Non era vero. Anch’io contribuii a condizionarlo perché mentisse. Rodolfo Fiesoli e il Forteto volevano definitivamente toglierlo alla famiglia naturale, con l’adozione, dopo averlo preso in affidamento dal tribunale, e serviva trovare fatti per rendere colpevole la famiglia».

Lo scandalo del Forteto fu trattato anche dalla trasmissione tv “Le Iene”. Fu l’inviato Trincia a raccogliere le testimonianze di alcuni ragazzi. Tanto che, dopo aver denunciato gli abusi subiti, non mancarono le intimidazioni e le vendette. Dopo che era andata in onda l’inchiesta de “Le Iene”, il fratello di uno dei ragazzi che avevano deciso di rivelare cosa accadeva nel centro era stato preso a calci e pugni dal figlio di uno degli imputati, denunciò lo stesso Trincia. Un clima di intimidazioni, minacce e mobbing, verso diversi ospiti e lavoratori della “comunità lager”- com’era stata ribattezzata dai media locali – che ospitava da 25 anni bambini vittime a loro volta di altri abusi.

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