Pif, il testimone

Dal nome, più che un conduttore pare una marca di patatine. Pif, ideatore, conduttore e autore, su Mtv, de Il testimone è uno di quei personaggi un po’ strani, tipo il Chiambretti di tanti anni fa, che quando lo vedi ti domandi se c’è o ci fa. E, soprattutto, se diventerà un genio o svaccherà in una fastidiosa macchietta.

Perché il ragazzo, va riconosciuto, la stoffa ce l’ha. Armato di telecamera e di un’idea – voi direte: una sola? Sì, ma di questi tempi… – va in giro a seguire in presa diretta le vite e le storie di persone, in Italia e non. Fa il giornalista? Fa il reality? Più che altro sembra fare, e non malaccio, la riedizione aggiornata di certi programmi storici di Ugo Gregoretti, cui assomiglia anche per la voce e l’aria perennemente svagata. Alcune puntate riescono meglio, altre peggio; ma quando vengono bene, onore al merito, sono cose che nell’Italica tv sembrano le uniche degne di stare vicino a certe puntate di Report. Clamorosa, e tutta da vedere (cliccate qui e troverete tutto) la puntata dedicata ai neomelodici napoletani, uno dei quali viene seguito passo passo durante una normale domenica di lavoro. Massacrante, peraltro: un susseguirsi di matrimoni e cresime, in cui il divetto è sballottato, fra baci a bambine grosse quanto balenotteri, spose biancovestite e con trucco multistrato, famiglie che grondano soldi e soddisfazione per essere riusciti a portare al compleanno o alla comunione del pupo la star di Napoli e provincia, e gran serata finale con concerto allo stadio, dove una folla osannante di guaglioni e guaglioncelle canta a squarciagola successi che non si sono mai sentiti più su di Avellino, ma che sotto Avellino vendono più di Madonna e dei Backstreet Boys. Uno spaccato sociologico, una inchiesta come sullo schermo non se ne vedevano da tanto tempo: pare un servizio di Riccardo Iacona, ed è degno di finire dritto dritto in Sciuscià e poi in un archivio, per raccontare alle generazioni future come era fatta l’Italia di inizio millennio.

PER QUALCHE CENTIMETRO IN PIÙ – Interessante la puntata dedicata a “Cosa vuol dire essere nano“, che non è uno special su Brunetta, ma l’incontro con un affetto da nanismo; Pif lo segue nella sua normale giornata lavorativa, e poi fino in America, ad un congresso di “persone piccole“. E qui, fra i corridoi di un grand hotel ‘merigano, oltre al folklore si imparano le differenze di approccio al nanismo, diverse fra l’Europa e gli Stati Uniti: in Italia chi è affetto da nanismo, anche se orgoglioso, si fa volentieri operare, per strappare qualche centimetro di statura; in America si è più integralisti e contrari all’intervento chirurgico. Pif registra, testimonia, si interessa, senza retorica e senza stupidi siparietti: onore al merito, alla fine del programma uno finisce col saperne di più sulla questione, ed aver visto qualcosa di divertente e alieno dal moralismo o dalle tesi preconcette. Evviva.

CHE DIRE DI PIF? – Certo, alle volte l’aria da “non sono stato io” diventa fastidioso manierismo: se non sta attento, invece che Gregoretti, potrebbe trasformarsi a breve termine in un Fabio Fazio, con tutte le controindicazioni del caso. Ma per ora, fintanto che va a intervistare e segue passo passo la vita di un gigolò di Battipaglia, la virata involutiva faziesca pare scongiurata. Il programma ha ritmo, cerca storie interessanti, personaggi nuovi, punti di vista insoliti. “Chi non si aspetta l’inaspettato non troverà la verità” cita Pif, omaggiando Eraclito. Da come costruisce il suo programma, pare persino uno che l’ha letto e capito, e non ha trovato solo una frase ad effetto digitando su Wikiquote.

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