Vivere da paziente nella giungla delle malattie rare in Italia

Malattie rare queste sconosciute. Mentre si avvicina il 28 febbraio, giornata mondiale a loro dedicata, in Italia si pone il problema di riconoscibilità delle patologie non comuni e annessi problemi. A sollevare la questione in queste ore è stata Caterina Simonsen, la 25enne studentessa di veterinaria affetta da quattro malattie rare, diventata un simbolo per tutti quelli che soffrono per questo tipo di patologie. Caterina ha rilanciato con un filmato su YouTube la campagna #IoConoscoleMr dove spiegherà a puntate i problemi relativi a chi soffre di malattie rare: dall’assistenza Inps al loro mancato aggiornamento nel Sistema sanitario nazionale.

Calle Cronk, Staying Grounded

(Photocredits: Getty Images)

COME FUNZIONA – Come si riconoscono le patologie nel Sistema Sanitario Nazionale? In Europa è considerata rara una malattia che colpisce non più di 5 persone su 10mila. La diagnosi è spesso complicata e tardiva. per un determinato numero di patologie rare il Servizio sanitario nazionale riconosce il diritto all’esenzione dalla partecipazione al costo in base al Decreto ministeriale n. 279 del 2001.Il problema però è l’anno e un registro malattie rare che non viene aggiornato. L’allegato al Decreto 279/2001 propone un elenco di gruppi di patologie per un totale di (solo) 582 malattie rare. Solo? Sì perchè sembrano troppo poche rispetto a quelle riscontrate dai pazienti italiani oggi. Ad ogni malattia individuata viene attribuito un codice univoco. Come indica l’Osservatorio Malattie Rare, attivo su queste tematiche, si indica un eventuale sinonimo con cui più frequentemente viene denominata la patologia (per es. la malattia di Charcot Marie Tooth ha per sinonimo l’atrofia muscolare peroneale).

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MANCA UN ANELLO – Sono le ASL a rilasciare un attestato necessario per ottenere l’esenzione. Quest’ultima però non garantisce al paziente esenzione del ticket per invalidità, reddito, età e malattie. Chi è effettivamente un malato raro quindi non può automaticamente godere, sotto il profilo medico legale, di un’invalidità o un handicap grave. Eppure però i problemi ci sono. Li racconta a Giornalettismo Renza Barbon Galluppi, presidente di Uniamo (Federazione Italiana Malattie Rare onlus) impegnata anche lei per il Rarae Disease Day e non solo: «Stiamo costruendo un sistema. Perché non è semplice. L’Inps valuta su delle tabelle, basate su malattie che generalemente riguardano patologie più conosciute». E spesso c’è gap tra medico e paziente: «I medici spesso non capiscono perché non hanno in realtà mai studiato tali tipologie. Ora qualche università ha iniziato ad inserirle nei piani di studio ma c’è scarsa informazione nella formazione obbligatoria alle Asl». Da una parte, spiega Barbon Galluppi, ci sono tabelle da aggiornare anche se alcuni piccoli successi ci sono stati: «L’inserimento di alcune malattie genetiche nel registro. Ma il problema è un altro: manca quell’anello che produce la documentazione giusta, con linguaggio corretto,  dal centro d’eccellenza  alle personalità che sono dentro le commissioni d’invalidità. Ovvero, cosa comporta quella malattia nella vita quotidiana? Spesso il medico della commissione si trova con un plico di 500 pagine e non sa che farsene. Cosa comporta tale malattia? Riesci a cucinare da solo? Per quanto tempo e che tipo di lavoro puoi fare? In che ambiente?». Un esempio ben riuscito di questa metodologia sono i fondi Sla dati alle regioni, dove step su step si è fatto al meglio: «Hanno preparato una attività – spiega – in cui il paziente in una determinata fase ha quei diritti, quei bisogni. Ecco, da qui scatta una percentuale del 100 per cento».

TUTTI GLI STEP – Renza ha tre figli. Due di loro per la scienza sono uguali. Stessi esami del sangue, sballati, stessa patologia: «Solo che uno ha un danno neurologico, l’altro no. Uno ha un sistema con spesa da 5 mila euro al mese e uno o no. A chi chiedo l’invalidità? Ho fatto in modo che all’esame d”invalidità di mia figlia parlasse suo fratello per spiegare i suoi problemi. Lui mi ha risposto: “Mamma cosa vuoi che ti dica, loro hanno delle tabelle e le tabelle non rispecchiano niente rispetto alla nostra tipologia”. Mia figlia aveva un foglio di una pagina e ha ottenuto l’invalidità. Perché non serve di più: su quella pagina c’era scritto esattamente ciò che serviva». Allora serve una formazione all’Inps? «Abbiamo bisogno di strutturare i centri ma per farlo bisogna avere i fondi. Ecco perché bisogna collegarsi all’Europa, gli strumenti ci sono». Quindi non si rinnova per questione di spesa? «L’elenco comporta una esenzione alla compartecipazione del costo di quelle prestazioni definite nei LEA. Si tratta di esenzione. Se io esonero come Stato pago. Così si non aggiornano i Lea ed automaticamente non si aggiorna l’elenco per non aumentare i potenziali esentati. D’altronde che si può fare con questa crisi economica? Abbiamo un sistema universalistico che però di fatto non è così». Tutta una questione di metodo, come spesso hanno spiegato a Renza dal ministero: «Per aggiornare bisogna che ci sia un meccanismo di modifica che poi funge a cascata. Se modifico i Lea modifico l’ingresso delle malattie rare. E questo quando averrà? Dovrebbe avvenire assieme al Patto della Salute, una negoziazione tra Stato e Regioni». Il nuovo patto di Saluteperò non c’è e doveva figurare nel Piano Impegno Italia dell’oramai ex governo Letta. Nel mentre, da anni, Renza fa su è giù in Europa. Ha scoperto “da sola” che fuori dal nostro paese si parla di MR e si costruiscono pian piano tasselli per scenari migliori. Ha organizzato, si è rimboccata le maniche, con altre associazioni, facendo rete. Con Eurordis Uniamo è la “parte operativa”. «I giochi – spiega – si fanno in Europa e spesso gli italiani non partecipano a bandi europei. Come Europlan, progetto europeo triennale (2012-2015), finalizzato allo sviluppo di Piani e/o strategie nazionali per le Malattie Rare, ed è co-finanziato dalla Commissione Europea. I lavori hanno posto le basi per lo sviluppo di un Piano Nazionale delle Malattie Rare, un piano che l’Italia avrebbe già dovuto adottare entro il 2013, in base alla raccomandazione del Consiglio d’Europa dell’8 giugno 2009. «Si è adottato un processo di adozione delle direttive europee del piano nazionale che doveva avvenire entro il 2013. Non c’è ancora. Perché si aspetta il Patto per la Salute. Qui l’importante è che l’Italia si metta a lavorare in Europa».

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LA DIFFIDA CONTRO IL GOVERNO – L’Associazione “Giuseppe Dossetti: i Valori – Sviluppo e Tutela dei Diritti” ha deciso per il 28 febbraio di rendere pubblica una diffida nei confronti del Governo contro il suo mancato aggiornamento dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) e del Registro delle Malattie Rare. Claudio Giustozzi, segretario nazionale dell’associazione spiega a Giornalettismo: «Il problema relativo ai Lea è che oramai sono da 14 anni non vengono nè rivisitati nè rivisti. Sono diventati obsoleti. Il ministro Lorenzin ci ha comunicato che 9 regioni su 21 sono adempienti al sistema Lea. Quando rientreranno le malattie rare in questa tutela? In Italia abbiamo un numero elevato di cittadini che resta fuori dal sistema Lea. Noi chiediamo che ogni regione possa dare la migliore risposta possibile su tutto il territorio nazionale». Altro discorso su cui mettere mano è anche il registro MR, che costa non poco: «Se volere è potere si dovrebbero monitorare tutte le patologie rare presenti nel Paese. Noi presenteremo questa diffida pubblica il 28 ma ci stiamo organizzando in una class action nazionale nel caso di mancate risposte». L’associazione punta su uno utilizzo migliore delle risorse su tutto il territorio, chiedendo: «Ci sono malati deceduti perché non hanno potuto attingere ai fondi. Noi vogliamo rifondare un SSN equo e solidale, a 360 gradi e su tutto il territorio nazionale. Vogliamo un Ministero che sia il baluardo di ciò che i cittadini chiedono. Ci auguriamo in un ripensamento del titolo V per abbattere un “feudalismo” federale che sta di fatto creando problemi al paese da 14 anni». Di questi temi si parlerà anche nella serie di incontri bilaterali organizzati dall’associazione, in vista degli Stati Generali della Salute, in programma per il prossimo 7 marzo a Roma al Palazzo dei Gruppi Parlamentari della Camera dei Deputati.

LA GIUNGLA DELLE TABELLE – Quale è però la giungla in cui si incappa per richiedere l’invalidità in caso di malattie rare? Caterina Simonsen, affetta da MR ci racconta le problematiche: «In primis la difficolta di diagnosi, ci sono poche informazioni da parte dei medici. Pochissimi sono infatti capaci di prescrivere correttamente l’esenzione per malattia rara e inserire la patologia nel registro nazionale». Poi arriva il momento della richiesta di invalidità: «Il problema con l’INPS invece nasce dal fatto che, oltre ai lunghissimi tempi d’attesa, i medici della commissione INPS/ULSS non conoscono le malattie rare e il loro corso; neanche quelle già riconosciute gravi, croniche, degenerative e invalidanti dal SSN, quelle poche già codificate nelle esenzioni. Quindi se ti presenti con la diagnosi loro ti riconoscono la diagnosi ma non riconoscono l’invalidità perché non è previsto dalle loro tabelle», spiega la ragazza. «Infatti loro per cercare di valutare meglio ogni malattia che non c’è nelle tabelle valutano il danno agli organi: ma le malattie rare spessissimo sono degenerative, quindi la situazione di salute in cui ci si trova al momento della domanda d’invalidita spesso è meno grave di quando si riceve la lettera, quando spesso bisogna subito fare una richiesta di aggravamento». Spesso non conoscendo la malattia non si riesce a prevedere o a intuire la loro attività degenerativa. «Per esempio – ci spiega Caterina – se una persona a causa di una malattia rara che colpisce i nervi a partire da quelli periferici fa richiesta, per prassi, non essendoci la malattia le viene riconosciuto dal 20 al 50% in base all’arto e i nervi colpiti. Però già dopo un anno e mezzo (il tempo medio che passa dalla richiesta del medico di base alla lettere dell’Inps) probabilmente è in carrozzina con due o più arti già coinvolti, quindi in realtà l’invalidità fin da subito avrebbe dovuto essere maggiore riconoscendo che a breve la persona in questione avrebbe subito dei peggioramenti e quindi valutarli». Per alcune malattie ci sono “vie” più semplici: «Come avviene da tempo per il diabete – spiega Cate – infatti chi è insulino-dipendente ha l’85 per cento da subito, senza neanche avere danni ad organi (come reni occhi e arti). Perché la commissione valuta l’andamento della malattia». Stessa prassi avviene per fibrosi cistica e per altre malattie degenerative. «In realtà – spiega la ragazza – basterebbe sovrapporre le due tabelle: ciò che il SSN ha riconosciuto gravissimo dando un’esenzione totale dev’essere riconosciuto altrettanto dall’INPS, o almeno dovrebbero rifare le tabelline inserendo almeno caso per caso le malattie rare riconosciute dal SSN». Perché tabelle e invalidità non viaggiano insieme? Si tratta di assurdità? «Non è assurdo – spiega Cate – perché ci sono MR che non sono invalidanti. Per esempio nel caso di acalasia esofagea, dopo l’intervento si ha una vita normalissima (ho una amica carissima che ne è affetta). Perciò bisognerebbe fare meglio le tabelle includendo almeno le malattie riconosciute oppure valutando soltanto il danno d’organo al momento della visita a tutti, il che semplificherebbe tanto».

LE MR NELLA RICERCA – Migliorare lo studio delle patologie? «Per quanto riguarda la ricerca in Italia – spiega a Giornalettismo Marco Delli Zotti, medico chirurgo e membro di Pro-Test Italia – sulle malattie rare siamo in prima linea, basti pensare alla recente notizia del gruppo di ricerca di Naldini che ha dato finora dei risultati straordinari sulla Sindrome di Wiskott Aldrich e sulla Leucodistrofia Metacromatica. Il problema rimane, come spesso accade in Italia, nel finanziamento di queste ricerche che spesso sono condotte da enti come Telethon». Ricerche che necessitano di grandi fondi per diversi motivi: «Avendo un pool ridotto di pazienti, sono molto difficili e lunghe da fare e da seguire», spiega.

I FARMACI ORFANI – Come si curano nel nostro Paese le MR? Spesso con diagnosi così rare si è costretti a ricorrere a farmaci difficili da reperire. Il farmaco orfano è un prodotto utile per trattare una malattia rara, ma non c’è un mercato sufficiente per ripagare le spese del suo sviluppo. Troppo pochi pazienti e quindi niente sponsor. In base alla normativa europea (Regolamento CE N.141/2000 del Parlamento Europeo e del Consiglio d’Europa) i criteri per definire un medicinale orfano sono questi:

– che il prodotto sia destinato alla diagnosi, alla profilassi o alla terapia di un’affezione che comporta una minaccia per la vita o la debilitazione cronica e che colpisce non più di cinque individui su diecimila nella Comunità, oppure
– che il prodotto sia destinato alla diagnosi, alla profilassi o alla terapia nella Comunità di una affezione che comporta una minaccia per la vita, di un’affezione seriamente debilitante, o di un’affezione grave e cronica, e che è poco probabile che, in mancanza di incentivi, la commercializzazione di tale medicinale all’interno della Comunità sia tanto redditizia da giustificarne l’investimento necessario

Quale è la situazione italiana? «Queste ricerche – spiega Delli Zotti – spesso si occupano di malattie di cui a volte non conosciamo ancora bene i meccanismi fisiopatologici (un esempio può essere la Sindrome di Rett) e che devono ancora essere studiate bene prima di proporre eventuali terapie quindi non possiamo sapere di quanti soldi abbiamo bisogno. Senza contare, come dicevo prima, che si tratta di malattie con pochi pazienti e su cui, purtroppo, spesso le case farmaceutiche investono molto poco». Alcune migliorie sarebbero possibili: «Il medico – spiega – deve essere formato anche sulle malattie rare (non conoscendole tutte nei dettagli ovviamente) ma sapere quali percorsi sia dal punto di vista medico che burocratico si debbano percorrere. Non solo, tutti i pazienti con malattia rara devono avere accesso ai farmaci che necessitano per le loro terapie; anche se il 92% di questi farmaci sono in fascia A e H, si deve puntare al 100%; e non solo, tutti i pazienti devono avere accesso alle terapie non farmacologiche (per esempio la fisioterapia nei bambini con problematiche nella deambulazione). Attualmente vengono riconosciute poche malattie rare rispetto alle oltre 6000 note, lo Stato deve puntare a riconoscerne sempre di più per evitare di escludere pazienti che hanno diritto ad essere supportati anche dal punto di vista economico». «Ci vuole supporto alle famiglie – aggiunge il medico – e alle associazioni di malati, a volte lasciate in disparte o dimenticati, un supporto sia di tipo economico che psicologico». Il punto più importante per Delli Zotti è sopratutto uno: «La gente deve imparare cosa siano le malattie rare, che conseguenze hanno nella vita dei malati e dei loro familiari e deve aiutare queste persone, anche con il semplice volontariato, e questo non solo in occasione delle campagne Telethon ma in ogni altra occasione possibile. Il 28 febbraio sarà la giornata mondiale delle malattie rare, una bellissima occasione per potersi informare su questa tematica, con una serie di eventi su tutto il territorio europeo e a livello mondiale. Personalmente inviterò tutti i miei conoscenti e coloro che seguono Pro-Test ad andare sulla pagina del Rare Disease Day e cercare l’evento più vicino a cui poter partecipare. Secondo me è una buona occasione per tutti noi». Renza Barbon Galluppi di Uniamo il 28 febbraio presenterà all’Istituto Superiore Sanità sette priorità sulle MR: «Cose da portare a casa entro l’anno prossimo. Non riusciamo a strutturare i centri e non si deve più farlo per alzata di mano ma sulla professionalità. Noi come associazione abbiamo sposato una strategia a lungo termine. Io dopo il 28 riuscirò, dopo anni di lavoro, a mostrare delle priorità che sono condivise». Se non ci pensano le istituzioni ci pensano quindi le associazioni: «Sì – sorride – siamo noi. Loro sono lì ed erogano un servizio. Siamo noi che li dobbiamo mettere attorno ad un tavolo, creare ponti di dialogo tra istituzioni che non “parlano”. Perché viviamo la quotidianità. Perché siamo noi che viviamo il bisogno».

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