9 novembre 1989: quando la Germania ci cacciò dallo Sme

9 novembre 1989. I VoPos della Germania Est aprono vari accessi nel muro che separa le due parti di Berlino per consentire a moltissime persone di attraversarlo. Ben presto il muro stesso viene assaltato e distrutto dai cittadini berlinesi. È il momento più significativo della riunificazione delle due Germanie, separate dalla fine del secondo conflitto mondiale, ma è anche la causa scatenante della crisi dello SME, l’allora esistente sistema monetario dell’Unione Europea.

QUANDO LA GERMANIA CI CACCIO’ DALLO SME – Nel maggio 1990 infatti viene stipulato l’accordo per la riunificazione monetaria delle due Germanie: per motivi sia elettorali che economici (leggere al riguardo Anschluss di Vladimiro Giacché) viene deciso, contro il parere stesso della Bundesbank, che dal 1º luglio successivo il marco dell’est fosse convertito alla pari per salari, prezzi e depositi bancari fino a 4000 marchi a persona, esclusi i bambini (meno) e i pensionati (più). Somme superiori di depositi, debiti aziendali e affitti di case a un tasso 2:1 (2 marchi RDT per 1 marco RFT) mentre il cosiddetto “denaro speculativo”, acquistato poco prima dell’unificazione, a un tasso di 3:1.

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LA MASSA MONETARIA – Questo improvviso aumento della massa monetaria fu accompagnato anche da un forte aumento del deficit statale per le spese di riunificazione, fenomeni ai quali la Bundesbank reagì in maniera preventiva, per contrastare le spinte inflazionistiche, con un significativo aumento dei tassi di interesse, senza adeguato coordinamento con il governo tedesco stesso in virtù della sua indipendenza, e disinteressandosi degli effetti del suo operato sullo SME in quanto ritenuto necessario per perseguire il suo primario mandato di mantenere la stabilità dei prezzi a lungo termine (leggasi a tal proposito “L’Unione Monetaria Tedesca, la Bundesbank e il collasso dello SME” di Carsten Hefeker dell’Università di Costanza).

IL QUARTETTO CONTRADDITTORIO
– Il rialzo unilaterale dei tassi di interesse da parte della più importante economia della zona dello SME, quella tedesca, andava a confliggere col “quartetto contraddittorio” teorizzato da Tommaso Padoa Schioppa già nel 1987: “i paesi dello SME si erano posti degli obiettivi economici tra di loro contrastanti, in quanto tali obiettivi riguardano la liberalizzazione dei movimenti di merci (primo obiettivo) e quella dei capitali (secondo obiettivo) in un sistema di cambi fissi (terzo obiettivo), elementi incompatibili con il quarto obiettivo: l’autonomia della politica monetaria. Infatti, se i cambi sono fissi in presenza di libertà di movimento dei capitali, allora anche i tassi di interesse nominali devono essere uguali nei paesi partner.” (qui, pag.11). Il risultato fu che il marco, spinto da tassi reali superiori, iniziò a rivalutarsi contro la maggior parte delle altre monete dello SME che, costrette a mantenersi entro una banda di oscillazione ristretta, si videro costrette ad adeguare i loro tassi, penalizzando di conseguenza le economie europee sottostanti.

LA SPECULAZIONE IN GIOCO – In una situazione così compromessa ebbe gioco facile la speculazione. Da una parte vedeva un comportamento non cooperativo tedesco, dall’altro la testardaggine degli altri membri dello SME a mantenere in piedi parità di cambio palesemente non sostenibili. Ben presto Soros ed amici sfruttarono questa situazione semplicemente vendendo valute dei paesi sotto pressione e comprando marchi, movimento ben presto seguito da tutti i mercati quando videro che la Bundesbank, in teoria obbligata a continuare a vendere marchi per mantenere in piedi lo SME, dopo pochi, svogliati interventi si ritirava dalla difesa ad oltranza delle parità di cambio. Cercate di capire, se non ci fosse stata di partenza una situazione di squilibrio e se la difesa dello SME fosse stata coordinata e collaborativa, ben presto gli speculatori avrebbero finito i loro mezzi finanziari, puniti dai mercati stessi che non avrebbero dato credito alla manovra speculativa, aiutandola anzi ad assorbirla loro stessi.

I PAESI E LE VALUTE – Invece i paesi sotto attacco, lasciati soli a difendere le loro valute, provarono inutilmente, coi mezzi a quel punto inefficaci della politica monetaria a loro rimasta, di calmierare il mercato: il 25 agosto 1992 il marco tedesco registra un cambio pari al 1,4 marchi per 1 dollaro, minimo storico; il 3 settembre L’UK acquista sterline per 14.5 miliardi di dollari cercando di sostenere il cambio; il 4 settembre la Banca d’Italia alza al 15% il tasso di sconto a difesa della lira; il 17 settembre la Svezia, fuori dallo SME ma attaccata anch’essa, pur di non svalutare alza il tasso di rifinanziamento marginale al 500%. Vedete? Si alzano i tassi PER NON SVALUTARE, cioè per cercare di trattenere i capitali nella propria valuta offrendo maggiori rendimenti, non come dicono i somari a causa della svalutazione.

LA BANCA D’ITALIA E LE RISERVE IN VALUTA – Sempre la Banca d’Italia in quei giorni continua anche a vendere le riserve in valuta per comprare lire, cercando disperatamente di fermare il crollo delle quotazioni: ad ottobre 1992 sono ridotte a poco più di 30mila miliardi di lire dai 103mila miliardi di un anno prima, 70mila miliardi di lire bruciati da Ciampi (e regalati alla speculazione) che non servono a nulla: il 13 settembre il Governo Amato annuncia la svalutazione della lira complessivamente del 7%: in particolare la lira in sé fu svalutata del 3,5%, mentre le altre valute furono rivalutate del 3,5%. Altra piccola lezione: svalutazione e rivalutazione sono le facce della stessa medaglia, se una moneta svaluta contro un altra, quest’altra rivaluta, qui era chiara la divisione dei due effetti perché esisteva un precedente fissato rapporto di parità per cui si vedevano le rispettive differenze partendo da esso.

L’UK, LA STERLINA E LO SME – Il 16 settembre l’UK decide di far uscire la sterlina dallo SME (non ci rientrerà più), il giorno dopo è l’Italia ad annunciare l’uscita temporanea della lira. Ciampi stesso il 14 ottobre accusa i partner europei di mancata collaborazione: “La crisi valutaria si poteva evitare, se solo ci fosse stata più collaborazione tra i partner Cee. Ma adesso non bisogna fermarsi: va accelerato il processo di unione monetaria europea. Come dire, ci avete fregato, non avete collaborato dopo aver detto che eravate “pronti a difendere e a proteggere con ogni mezzo, con ogni strumento, le monete più deboli”, ho buttato via 73mila miliardi di lire degli italiani, quindi mi fido di voi e ci mettiamo assieme ancora di più stretti assieme. Giudicate voi la lungimiranza di tali parole.

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LA FINE E L’INIZIO – Nel mentre, vituperata ovviamente prima e presa a scusa per il rialzo ammazza-economia dei tassi e lo sperpero delle riserve, si scopre che la svalutazione non è così brutta dalla viva voce di Mario Monti: “vi è una tendenza in Italia a considerare la svalutazione come uno degli elementi positivi del nuovo panorama, anche da parte di coloro che fino al 13 settembre scorso si erano pronunciati a favore del mantenimento del cambio. Io sono tra questi…”. Il 23 novembre 1996 la lira rientrava nello SME, passo necessario per la successiva adesione all’euro. Il resto, come si dice, è storia.

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