Lo sfruttamento ai tempi del no profit

Call center, promoter per strada o porta a porta: le grandi onlus si servono delle più estreme logiche d’impresa

Onlus, associazioni no profit, enti morali, sono organizzazioni dalle finalità etiche che rappresentano uno dei pilastri del vivere civile: la società prospera e cresce anche grazie all’altruismo di chi si riunisce in gruppo per sostenere il prossimo. Chiunque di noi può citare al volo almeno quattro o cinque esempi di grandi enti che in Italia operano per una buona causa: difendere i bambini dalle violenze domestiche, proteggere l’ambiente, aiutare i poveri, prestare cure mediche nei paesi in guerra.

I DEBOLI DIMENTICATI – Ma ad uno sguardo poco meno che superficiale nel variegato mondo delle associazioni benefiche potrebbe sorgere il sospetto che ci sia una classe di “nuovi” deboli dimenticata un po’ da tutti: quella dei lavoratori. Le testimonianze di chi ha lavorato per alcune delle maggiori onlus ed enti morali sono infatti controverse. Alcuni dipendenti hanno dichiarato di aver lavorato volentieri, magari anche affrontando qualche sacrificio, per sostenere una buona causa in cui credevano, altri hanno messo in luce aspetti della policy di queste organizzazioni che mal si conciliano con le loro finalità etiche. Se talvolta il fine giustifica i mezzi, il motto non è mai tanto inadeguato come nel caso di quegli enti che dovrebbero avere la dignità e il rispetto non solo come fine, ma anche come modus operandi.

UN’OCCHIATA SU INTERNET – Il primo passo per raccogliere informazioni sul mercato del lavoro in questo particolare settore è esplorare i siti delle varie associazioni, alle sezioni “lavora con noi”. Alcuni, come Save The Children, hanno una sezione dettagliata dedicata ai cosiddetti “dialogatori”, presentati come una specie di consulenti della giusta causa. In realtà il loro lavoro è sostanzialmente quello di promoter che fermano le persone per strada oppure suonano porta a porta. Strategia di comunicazione opinabile che però è molto consolidata e impiegata, per citarne una, anche da Greenpeace. Molte di queste associazioni offrono la possibilità, oltre al classico volontariato e agli impieghi veri e propri (in genere contratti a progetto), di svolgere un tirocinio curriculare oppure uno stage post lauream. In genere, su siti come quello di Telefono Azzurro, Save The Children o Greenpeace, le possibilità di impiego sono descritte per sommi capi, lasciando ai colloqui individuali le specifiche economiche e contrattuali. Unico nel suo genere è invece lo spazio per le opportunità lavorative sul sito di Survival, un’organizzazione per il sostegno dei popoli tribali in tutto il mondo.

SURVIVAL – Nella sezione Stage e Lavoro, si legge che “Survival accetta di lavorare solo con persone che:

– concordino con gli obiettivi di Survival e ne siano entusiaste;

– siano meticolose, molto organizzate ed efficienti;

– abbiano una perfetta padronanza dell’italiano e sappiano scrivere con facilità;

– abbiano un’ottima conoscenza della lingua inglese, scritta e parlata;

– abbiano una perfetta padronanza dell’uso dei computer;

– siano disponibili a lavorare con un team poco numeroso, a fronte 
di una retribuzione limitata”.

Come dire, requisiti da secchione e stipendio da ripetente. E il gap è per la buona causa. Ne abbiamo parlato con la direttrice di Survival Italia, la dottoressa Casella. “Ci basiamo soprattutto sul volontariato – chiarisce – la collaborazione dei volontari è fondamentale per la diffusione dei temi che la nostra associazione propugna: è una causa che necessita di persone fortemente motivate. Proponiamo o collaborazioni in forma volontaria, o tirocini e stage, curriculari per gli universitari e post laurea, tutti totalmente privi di rimborso spese. D’altronde, il lavoro volontario è per definizione senza rimborso”.

Ma lo stage non dovrebbe essere volontariato. In genere prevede un rimborso spese dai 400 agli 800 euro mensili.

“Non abbiamo assolutamente le possibilità economiche per retribuire gli stagisti, pensi che in italia siamo assunti soltanto in due”.

Sembra che anche le persone assunte però percepiscano, a fronte di criteri molto selettivi, una retribuzione “modesta”.

“Per fare un lavoro come il nostro, per una causa così difficile, ci vogliono persone di alto profilo, con un curriculum e delle capacità fuori dall’ordinario. Noi possiamo pagarle poco, e questo devono saperlo, per non creare equivoci l’abbiamo specificato: il candidato non può aspettarsi di prendere tanto quanto un manager di una grande azienda. Le retribuzioni, comunque, cambiano in base alle attitudini del candidato, al tipo di contratto e a molte altre variabili. Molti dei nostri contratti sono a progetto”.

IL TELEMARKETING BENEFICO – Alla sola parola “telemarketing”, frotte di precari fuggono verso i lavori più dequalificati pur di non dover sostenere i ritmi e le logiche del peggior impiego dei giorni nostri. Alcuni, però, credono nella bontà dei principi che andranno a comunicare, e armati di santa pazienza scelgono l’impiego di telefonista. Le testimonianze che abbiamo raccolto, da fonti che ci hanno chiesto di restare anonime, si riferiscono in particolare ad esperienze presso Greenpeace e Telefono Azzurro. “Per quanto riguarda Greenpeace il mio compito era quello di contattare telefonicamente i sostenitori e tentare di convincerli ad aumentare la quota annuale o mensile che già versavano all’associazione – racconta Marta (nome di fantasia) – Il lato positivo della cosa era l’opportunità di parlare tutti i giorni, con le più disparate persone, dell’argomento “ambiente”, che mi sta molto a cuore. Di contro però c’erano i lati negativi del lavoro, che alla fin fine si risolveva in un’attività di call center con tutto quel che ne consegue: paga fissa bassa più incentivi in base al numero di telefonate andate a buon fine (parliamo di poche decine di centesimi a telefonata), ritmi martellanti (se scendevi sotto un certo numero di telefonate al giorno ti beccavi il cazziatone), copione concordato con l’associazione da recitare praticamente alla lettera a ogni sostenitore (il responsabile del fundraising di Greenpeace voleva sentire le registrazioni e alcune frasi andavano dette senza cambiare neppure le virgole), in una stanza condivisa con altre 20 persone e in orari assurdi (compresa la sera).

GREENPEACE – Tutto questo sfociava in un lavoro disumanizzante e ripetitivo che consisteva nello schiacciare gli stessi pulsanti su un computer, dire continuamente le stesse frasi e sentire le stesse risposte per 6/7 ore al giorno, rendendo un qualcosa di potenzialmente utile un’attività automatica. Anche la persona più motivata avrebbe mollato… ed è quello che ho fatto (seguita a ruota da quasi tutti quelli con cui lavoravo). Alla fine ho fatto i conti con i miei valori e ho abbandonato, delusa, anche questo lavoro, dedicandomi ad altro che mi permettesse di aver per lo meno la coscienza pulita. Il problema, secondo il mio parere, sta nella decisione di queste grandi organizzazioni no profit di affidare un’attività così delicata come la raccolta fondi ad aziende esterne di tipo profit il cui scopo ultimo è, appunto, il profitto a tutti i costi.

LA LOGICA DEL PROFITTO – Così facendo – continua Marta –  il rapporto con i sostenitori e i soci diventa falso e la loro fiducia viene tradita: molto spesso, in entrambi i lavori, mi sono trovata a dover mentire (su suggerimento dei responsabili) sulla natura del mio rapporto con l’associazione dichiarando alla gente di essere io stessa una socia o addirittura di fare quel lavoro da volontaria… tutto per non far sfigurare l’onlus. Più in malafede di così…” Greenpeace in effetti appalta la gestione del call center, come detto dalla testimone, a una società che si chiama Softlab. Cecilia, responsabile dell’ufficio stampa di Greenpeace, conferma che l’associazione si serve proprio di questa società confermando il dato fornito da Marta (a tal proposito, si legga la replica che Greenpeace ha inviato a Giornalettismo) : “Greenpeace sperimenta solo da poco l’attività di call center – spiega – e siamo molto interessati ai feedback diretti dei lavoratori, che finora non sono mai stati negativi. Tuttavia, ci fa piacere ricevere anche queste segnalazioni perché ci aiutano a valutare i termini del progetto”. Alcuni degli intervistati hanno osservato che le logiche di sfruttamento descritte dai testimoni sono semplicemente le regole consuete dei call center. Il punto è che se tutto sommato ci si aspetta questa idea di profitto da una multinazionale, nell’ambito del no profit il conflitto è stridente: certo, a livello legale non c’è nulla di illecito, ma si lavora davvero con due pesi e due misure.

TELEFONO AZZURRO – Sul filo dello sfruttamento e dell’irregolarità, invece, si dipana la testimonianza di Giulia (nome di fantasia), che essendo appassionata di sociale ha scelto di lavorare con Telefono Azzurro: “Tra il 2008 e il 2009 ho fatto un anno di servizio civile presso il Telefono Azzurro (sede di Milano) e tra giugno e luglio 2010 ho lavorato presso il 114 emergenza infanzia, un numero istituzionale gestito sempre dal Telefono Azzurro. Delle cose orribili, si professa la tutela dei minori ma senza alcun rispetto per i lavoratori. Ho visto ragazze non far più ritorno dopo la gravidanza, se al Telefono Azzurro rimani incinta stai sicura che il contratto non verrà rinnovato. Questo è quello che ho osservato inorridita durante il servizio civile, poi nel giugno del 2010 la telefonata. Mi propongono di diventare operatrice del 114, io non sto più nella pelle dalla gioia, so che il posto ha una strana concezione dei lavoratori ma tutto sommato non ho alcuna intenzione di far figli e accetto. Durante il colloquio mi propongono un contratto annuale a tempo determinato ma il giorno della firma mi rendo conto che il contratto scade a fine ottobre (4 mesi scarsi), chiedo informazioni ma mi rispondono che loro non sanno, che dipende dai superiori (non si capisce bene chi).

TURNI COL TRUCCO – Inizio comunque a lavorare e mi rendo conto che i turni sono a dir poco massacranti 8-16, 16-24, 24-8 e i giorni di riposo non quadrano. In pratica loro considerano il turno 24-8 come lavorato la sera precedente e considerano riposo il giorno dopo aver staccato. Esempio: inizio a lavorare alle 24 del sabato, in pratica le 00 di domenica ma loro considerano lavorativo il sabato e riposo la domenica, quindi riposo dal momento in cui (alle 8 del mattino!) staccavo dopo otto ore di lavoro. E il lunedì ricominciava ad essere lavorativo (abbiamo chiesto di fare almeno i due giorni di riposo attaccati ma la risposta è stata che la matrice dei turni era stata ormai impostata così). Sono scappata a fine Luglio, felicissima di questa scelta. So di ex colleghe che sono rimaste a cui non sono state concesse, questa estate, due settimane di ferie consecutive (la risposta a quanto pare è stata “la vostra richiesta è indecente”). Al Telefono Azzurro invece (numero 19696) alle colleghe senza esame di stato è stato fatto un contratto a progetto, cosa ridicola perchè l’orario di lavoro era ben definito su turni, e guai a sgarrare… dal sesto minuto di ritardo scattavano i 30 minuti in meno di paga”.

LA DIRIGENZA RISPONDE – Telefono Azzurro non è nuovo a problemi con i lavoratori. L’anno scorso, 25 dipendenti protestarono a Palermo per il mancato rinnovo del loro contratto. Erano lavoratori specializzati che furono licenziati perché i loro contratti a termine non potevano essere rinnovati per più di due volte. Al loro posto, vennero assunti dei volontari del servizio civile con poche settimane di formazione alle spalle. I vertici dell’associazione hanno detto la propria rispetto alla testimonianza di Giulia, con un comunicato stampa che, al contrario di quanto è avvenuto nel caso di Greenpeace smentisce in modo categorico il racconto della ragazza: “Lo sfogo personale dell’intervistata (ammesso che abbia davvero collaborato con Telefono Azzurro, cosa di cui davvero si dubita anche alla luce dell’anonimato di cui si fa strumentalmente scudo) contiene affermazioni tanto generiche che francamente non possono che essere smentite seccamente. Telefono Azzurro deplora una tale modalità offensiva e lesiva della propria immagine e dell’attività che porta avanti con passione e onore ormai da oltre vent’anni. Nella propria attività quotidiana, Telefono Azzurro è coadiuvato da volontari e da collaboratori assunti sia a tempo indeterminato che con contratti a termine. Ciò in base alle condizioni della convenzione ministeriale di affidamento del servizio 114, di durata essa stessa necessariamente triennale. I turni di attività sono programmati sulle costanti e continue esigenze dei minori e distribuiti dai collaboratori sull’intero arco della giornata.

SMENTITA CATEGORICA – Non si capisce pertanto la lamentela riguardo ai turni, se non come inadeguatezza dell’intervistata stessa a motivare personalmente un impegno di certo gravoso, ma che i suoi colleghi (molti dei quali collaborano da parecchio tempo con Telefono Azzurro) affrontano, tuttavia, quotidianamente con passione e dedizione cosi come l’obiettivo della tutela dei minori merita. Sono analogamente del tutto infondate anche le allusioni a presunti atteggiamenti sfavorevoli alla maternità. Atteggiamenti lontani anni luce dalla filosofia di Telefono Azzurro, come è anche dimostrato dalle molte collaboratrici madri che collaborano e hanno collaborato con l’Ente. Le affermazioni gratuite ed offensive come quelle raccolte nell’intervista anonima sono dunque categoricamente da smentire in quanto prive di fondamento e totalmente lontane dalla visione di Telefono Azzurro, che si riserva pertanto ogni ulteriore azione a tutela della propria immagine e dignità”. La posizione di TA è stata la più categorica all’interno del nostro piccolo campione, e se da un lato prende le distanze dalle parole di Giulia, dall’altro non rende però conto della discrepanza tra gli obiettivi umanitari e l’impiego di politiche gestionali tipiche della grande impresa.

EDIT: Da Greenpeace riceviamo e pubblichiamo:

Greenpeace non “avalla” assolutamente le affermazioni contenute nell’articolo pubblicato da “giornalettismo.com“. Anche perché non abbiamo avuto modo di leggere quanto affermato dalla ex-operatrice di call center. Quello che ci siamo limitati a dire è che noi operiamo con Softlab e che stiamo attenti alla qualità del loro servizio (il che include anche le relazioni con i propri operatori).
E’ evidente che chi racconta, trovava il suo lavoro non soddisfacente, e ha scelto di lasciarlo. Tuttavia alcune affermazioni sono lontane dalla verità. Abbiamo lavorato con diversi call center  e una delle caratteristiche per cui li scegliamo è la qualità delle telefonate (più che la quantità). Il che implica da parte nostra una formazione quasi continua e feedback agli operatori. E questo avviene proprio attraverso lo strumento dello script, e l’ascolto delle telefonate.
Innanzi tutto chiediamo agli operatori di essere estremamente trasparenti con i sostenitori (infatti, si qualificano dicendo “la chiamo per conto di Greenpeace”). Poi, forniamo loro uno script da usare come traccia della conversazione, poiché spesso i temi delle nostre campagne non sono semplici e veloci da spiegare: si tratta di uno strumento essenziale per una corretta impostazione e gestione della telefonata, ma questo non significa che debba essere recitato. Al contrario i migliori operatori sono proprio quelli che riescono a personalizzare lo script e che non lo seguono alla lettera.
L’ascolto delle telefonate, presso il call center o con delle registrazioni, serve appunto per controllare la qualità e la correttezza delle informazioni date ai sostenitori, e per indicare delle aree di miglioramento agli operatori. Anche per questo, abbiamo avuto diverse occasioni di incontrare il gruppo di lavoro che segue le nostre campagne di telemarketing e gli operatori si sono sempre dimostrati molto motivati. In qualche caso ci siamo trovarti a lavorare con le stesse persone per diversi anni, il che immagino possa significare che per questa agenzia di telemarketing il turn over, seppur fisiologico, non sia alto. Anche questo è un segnale positivo per la qualità dell’agenzia.
Il che non significa che non ci possano essere problemi. Al telefono abbiamo già dichiarato e ribadiamo che siamo sempre pronti ad ascoltare le persone che ci vogliono contattare (naturalmente tutelandone la privacy) per segnalare qualsiasi inconveniente: non è costume di Greenpeace tirarsi indietro. Ma facciamo fatica a seguire una fonte anonima, che fornisce informazioni confuse e in diversi casi non corrispondenti alla realtà.

EDIT II: Da Softlab SpA riceviamo e pubblichiamo:

abbiamo letto l’articolo e le debbo dire con franchezza che esso non corrisponde alla nostra realtà, né ci sono riferimenti che possano far pensare a qualcuno del gruppo di lavoro presente in Softlab.

La persona che ci cita non è identificabile, e, pertanto, non sappiamo se risponda al vero il fatto che abbia lavorato nel nostro gruppo, per quanto tempo e con quale rapporto di lavoro.

I migliori testimoni della qualità del nostro lavoro sono i nostri clienti che abitualmente contattano i nostri collaboratori per verifiche e controlli. Ma anche il nostro personale è testimone della qualità delle nostre condizioni di lavoro. Alcune testimonianze sono state spontaneamente postate sul vostro sito e, in generale, il clima lavorativo ha risentito dell’intervista. Tenga presente che i miei collaboratori sentono la differenza tra il dedicarsi al finanziamento per le organizzazioni non profit e la vendita di prodotti e servizi, e ne fanno un punto d’orgoglio. La raccolta fondi per nobili cause è un’attività indispensabile per la crescita del senso civico di un paese. La nostra struttura lavora solo per il non profit e proviene in prevalenza da questo settore: e la trasparenza in merito a ciò che facciamo è un must irrinunciabile. Greenpeace (che viene citato in un passaggio) è tra questi e le testimonierà come, confrontandosi costantemente con il nostro personale, non abbia mai potuto sospettare che qualcuno dei nostri collaboratori possa essere stato soggetto a tali pressioni e condizioni lavorative.

In particolare:

– le nostre retribuzioni per il lavoro prestato da parte degli operatori sono tra le più alte nel mercato. Ne sono testimonianza i nostri prezzi che non posso scendere al di sotto di certe soglie;

– non abbiamo ritmi martellanti. sono richieste dalle 4 alle 5 telefonate l’ora. Una telefonata ogni 15′ minuti! Mi chiedo quale call center possa competere con questi nostri ritmi! Ci è infatti riconosciuta da tutti i nostri clienti l’accuratezza della comunicazione e la meticolosità della nostra formazione che è testimoniata dal nostro manuale di addestramento;

– non ci sono orari assurdi (si finisce alle 20:30 e si inizia alle 13:30, con pausa di 15′ ogni 2 ore);

– tutta la formazione del personale è finalizzata alla motivazione, e gli scopi delle associazioni sono fatte proprie dal personale. Quando ci presentiamo affermiamo di chiamare “per conto di …” o “per …”. Questa modalità di presentazione è testimoniata dalle registrazioni delle nostre telefonate;

– gli script sono dei canovacci che vengono personalizzati dagli intervistatori.

Nel ringraziarla comunque della disponibilità mostrataci, volevo salutarla facendole notare come, di tutte le aziende che fanno telemarketing per le organizzazioni non profit, l’intervistata citi solo Sofltab. Softlab, nonostante la crescita degli ultimi 3 anni, è la più giovane e la più piccola tra le aziende di contact center. Francamente ci dispiace (e ci insospettisce) che si possa fare una identificazione tra noi e certe pratiche presenti in alcune aziende del ramo, compresa la delocalizzazione. Cui prodest?

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