Pasolini, un lupo assetato di sesso e morte?

Ecco come Il Giornale descrive l’intellettuale


Un articolo a firma di Aurelio Picca su Il Giornale ci restituisce un volto diverso di Pierpaolo Pasolini. Diverso da come siamo abituati ad immaginarcelo, almeno dai film e dalle opere letterarie che ci ha donato in eredità: attento alle tematiche sociali, politiche, culturali; cogliendone l’evoluzione e l’involuzione, spesso con agghiacciante lungimiranza. O il modo con cui trattava il sesso, in modo delicato o violento secondo quanto occorreva. Senza esagerare o essere patetico. L’articolo in questione ne trae invece una figura molto diversa. Violenta, ossessionata dal sesso. Un lupo insomma, come lo chiama Picca.

LA VIOLENZA TRASPOSTA NELLE SUE OPERE

È da tempo che si gira intorno all’idea che Pasolini fosse un violento attratto dalla violenza, eppure alla resa dei conti nessuno vuole accettarla, così si cerca di rimuovere a vantaggio della beatificazione, della vittima sacrificale, dell’agnello dato in pasto ai lupi. Non ci siamo, non si può come al solito accettare la potenza poetica e l’eleganza tutta italiana dello scrittore, e mistificare la sua vita. Vincenzo Consolo mi raccontava che Pier Paolo passava le notti a rincorrere il suo fidanzato Ninetto Davoli. Urlava, urlavano. Il regista voleva prenderlo, l’attore scappava. Nella camera d’albergo si sentiva un fracasso che svegliava nel pieno della notte i clienti. Anche gli imbianchini, classe 1940, mi raccontarono che quando arrivava ai Castelli Romani con il suo Maggiolino, dopo i «rapporti» chiedeva di essere picchiato. Renzo Paris, invece, racconta di quanto Alberto Moravia fosse preoccupato per lui in India, alla ricerca delle location di Un’idea dell’India. Pasolini ingaggiava file di ragazzi che spesso scambiavano la sua porta con quella dello scrittore de Gli indifferenti, per non parlare delle notti newyorchesi…Le scene di orgia collettiva che Pasolini descrive in Petrolio erano state vissute nei primi Sessanta tra Cecafumo e Cinecittà, sulla linea della Tuscolana. Sotto il Quadraro preferiva le «orine dei militari» che reclutava trenta alla volta per cinquecento lire a testa. Ma l’intera opera di Pasolini è spinta da una violenza che nella morte trova il suo porto glorioso. Croce e morte, bambini e morte, accattoni e morte, borgatari e morte. La morte più naturale, perché del Cristo, è dentro L’Usignolo della chiesa Cattolica, però in I Pianti (1946), la morte famigliare cerca di piegare la forma delle poesie a croce, mentre nell’Haikai dei rimorsi (1949) alza il tiro includendo i bambini e una morte non scevra da imposizioni che ci rimandano alle parole di Alberto Arbasino sulla presunta pedofilia del poeta friulano. Scrive: «I fanciulli sono visioni atroci/ di morti; dov’è la loro innocenza?/ dove sono le loro seduzioni?/ Hanno gli occhi pieni di cenere».

LO STILE DI UNA BESTIA –

Con Salò e le 120 giornate di Sodoma Pier Paolo Pasolini, prossimo alla morte vera all’Idroscalo di Ostia, usa la maschera sadomaso dei repubblichini per scatenare la sua sete di violenza e morte. Infatti il film non è soltanto il testamento di un poeta e cineasta bensì quello di un uomo. Di un uomo, di un «mostro», di una bestia non solo da stile. Non a caso, per radicalità e brutalità, Salò è a tutt’oggi difficile da accettare e vedere. Ha una forza talmente sconvolgente da spazzare via i Kubrick, i Polanski… Dunque è inutile appellarsi ai segreti di stato o alle trame eversive per accertare la sua scomparsa.

LA MORTE MERITATA…?

Pasolini colpiva e era colpito a suon di cric. Nelle borgate lo aspettavano per regolare conti di ogni genere. Lui prometteva una parte da comparsa e non rispettava la promessa. Prometteva e prometteva senza «assolvere». Soprattutto non voleva assolvere se stesso. Progettava di scrivere il capolavoro. C’è riuscito lasciando in eredità ai posteri l’affaire Pasolini. Dunque, per favore, basta con i santini. «Giocate coi fanti, ma non scherzate coi santi».

LA VIOLENZA DELL’INTELLETTO CONTRO QUELLA DELLE ISTITUZIONI – Le opere degli intellettuali ci permettono di interpretarne anche il loro subconscio. Pasolini, come lui stesso ha dichiarato in qualche rara intervista, usava la “violenza” delle sue opere per contrastare quella delle Istituzioni. Violenza praticata da queste ultime mediante il bigottismo e l’ipocrisia delle leggi e della propaganda. E forse, proprio chi appoggia la violenza della falsa morale delle Istituzioni finisce per rimarcare e condannare quella squisitamente intellettuale dello scrittore, bolognese di origine e romano di adozione.

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