Sondaggi, Matteo Renzi non fa boom

Matteo Renzi è da più di un mese il leader del Partito Democratico, un ruolo che esercita di fatto ormai dalla fine dell’estate, quando dichiarò ufficialmente la sua intenzioni di candidarsi alle primarie per la successione di Guglielmo Epifani. L’impatto demoscopico dell’avvento del sindaco di Firenze, il leader più popolare dell’ormai esangue politica, è stato però piuttosto limitato, ed al momento non ha affatto mutato la natura tripolare del sistema uscito dalle urne delle scorse politiche.

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BOOM PARZIALE – Il 15 ottobre del 2013 Nando Pagnoncelli, il direttore di Ipsos Italia, la società che realizza i sondaggi per la trasmissione «Ballarò», ha indicato in sei, sette percentuali l’aumento demoscopico di cui avrebbe beneficiato il PD nel caso in cui Matteo Renzi fosse divenuto segretario. All’epoca i dati della società di Pagnoncelli rilevavano i democratici vicini al 31%, e di conseguenza, come si sente dire dallo stesso sondaggista in questo video tratto dalla trasmissione, il PD avrebbe potuto sfiorare il 38%. Una cifra record per la politica italiana, non molto abituale nei sondaggi, e tantomeno nelle elezioni. Negli ultimi quarant’anni solo il Popolo della Libertà, nelle «bipartitiche» politiche del 2008 vi si era avvicinato, per poi rapidamente discendere fino al vero e proprio crollo registrato in questi anni.

Il vasto consenso personale registrato attorno alla figura di Matteo Renzi negli ultimi quindici, venti mesi, faceva prefigurare a Ipsos un possibile boom demoscopico, che il PD aveva vissuto, pur non toccando mai quelle cifre, solo subito dopo le primarie del 2 dicembre del 2012. Consultazioni che poi portarono alla sfortunata elettorale de 24 e 25 febbraio, quando il partito guidato da Bersani affondò al 25%, il peggior risultato della sua storia recente. Ad ormai più di un mese dalle trionfali primarie dell’8 dicembre, quando Renzi si è preso la rivincita sulla sconfitta dell’anno precedente annichilendo i suoi avversari, il Partito Democratico non ha ancora ricevuto il boom preconizzato da quello che rimane come il miglior istituto di sondaggi italiani. La rilevazione era stata condotta a metà ottobre, quindi è possibile, che, come spesso capita, la sempre maggior percezione di Renzi come leader del PD abbia portato sì a convincere qualche elettore distante dai democratici, ma abbia allontanato chi invece simpatizza per il sindaco di Firenze ma è indisponibile a votare per il principale partito della sinistra italiana.

PD CRESCE, SENZA SFONDARE – Dall’inizio della campagna elettorale delle primarie, che può essere fatta coincidere con le feste di fine agosto, inizio settembre, il Partito Democratico ha sicuramente guadagnato svariati punti percentuali. A fine luglio il PD era rilevato intorno al 26%, una media che risentiva dei suoi valori più negativi registrati dopo la disastrosa elezione del presidente della Repubblica. All’epoca il maggior partito del nostro paese era reduce dal tonfo elettorale, e la doppia giubilazione di Prodi e Bersani in un colpo solo l’aveva portato a sprofondare poco sopra al 20%. Una situazione di basso favore demoscopico già vissuta nella fase terminale della segreteria di Walter Veltroni; dopo l’arrivo di Epifani, e sopratutto grazie al buon risultato ottenuto, anche in modo sorprendente, alle amministrative di fine maggio ed inizio giugno, il Partito Democratico si era ripreso. La discreta popolarità del governo Letta aveva inoltre giovato ai democratici, che temevano di subire il crollo definitivo nel momento in cui fosse stato siglato il patto con Berlusconi. Matteo Renzi all’epoca era ancora incerto se candidarsi alle primarie per la successione di Epifani, segretario pro tempore, ma dopo che ha sciolto la sua riserva, e la competizione è entrata nel vivo, il PD è risalito. Come si vede nel grafico, i democratici erano risaliti al 28% di media nei giorni immediatamente precedenti all’8 dicembre.

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Nei 29 sondaggi pubblicati dopo l’elezione di Matteo Renzi alla segreteria del Partito Democratico il valore medio della formazione si è assestato poco sopra al 30%. Un dato buono, pari, in modo forse piuttosto inquietante, al valore sul quale era rilevato il PD di Bersani prima del black out sulle intenzioni di voto a due settimane dallo svolgimento delle politiche. Una performance certo positiva, che però non assume, almeno per il momento, quel segno di trasformazione del sistema politico che invece si avverte maggiormente nell’iniziativa del nuovo segretario. Di fronte alle paralisi che bloccano il governo Letta, oppure all’isolamento in cui si sono rinchiusi Grillo e Berlusconi, volenti o nolenti, il dinamismo di Renzi ha indubbiamente scosso la politica del nostro paese. L’elettorato, però, pare esserne rimasto meno colpito, almeno per il momento.

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TRIPOLARISMO CONFERMATO – Dalle elezioni del 24 e 25 Febbraio 2013 l’Italia è uscita tripolare come mai lo era stata nella sua storia. Durante la Prima Repubblica la dialettica Dc-Pci aveva plasmato l’intero sistema politico; dall’arrivo di Berlusconi in poi la lotta tra centrodestra e centrosinistra aveva sempre lasciato pochissimi spazi. Anche nel 1994, quando il centro si presentò da solo contro la destra di Berlusconi e la sinistra di Occhetto, il terzo polo dell’epoca prese solo il 15%, un risultato sì importante ma nettamente inferiore rispetto al 25% conquistato da Beppe Grillo. Se il PD è cresciuto probabilmente grazie a Renzi, il centrosinistra, di cui i democratici sono di gran lunga la componente principale, è avanzato solo leggermente.

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Tra il settembre del 2013 e inizio dicembre, poco prima delle primarie, il PD ed i suoi alleati alle ultime politiche ed amministrative, Sel e formazioni minori, valevano intorno al 33,8%. Dopo il ciclone Renzi, nell’ultimo mese il centrosinistra è arrivato al 35%. Un aumento di poco più di un aumento percentuale che certo non è in grado di trasformare la natura tripolare del sistema italiano, almeno in questo momento. Le forze di centrosinistra hanno aumentato di tre, quattro punti il loro consenso rispetto ai punti più bassi della tarda primavera, ma rimangono ancora incollati al centrodestra. Da ormai un anno il campo conservatore è appaiato allo schieramento che fa perno sul PD, nonostante le enormi difficoltà di Berlusconi. Il MoVimento 5 Stelle continua a essere rilevato al di sopra del 20%, consolidando così uno schema tripolare che rende impossibile, o quasi, la formazione di qualsiasi maggioranza chiara. L’unico vero sconfitto di questo lungo e travagliato anno post elettorale è il sogno del grande centro, eterna illusione dell’establishment del nostro paese. I voti che hanno aumentato il consenso del centrodestra così come del centrosinistra provengono probabilmente dall’area montiana, praticamente dissoltasi. Allo stesso modo a sinistra non è arrivato nessuna nuova spinta, e le formazioni uscite massacrate dalla lista legata ad Ingroia languono su valori che non consentiranno in alcun modo di ritrovare una soggettività istituzionale. L’unico vero cambiamento possibile, al momento attuale, appare una rimobilitazione della vasta area elettorale che al momento non si schiera. Tra il 2006 ed il 2013 sono mancati più di quattro milioni di voti, e secondo le stime attuali voterebbero ancora meno italiani rispetto alle politiche dell’anno scorso.

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CONSENSO CHE MUTA –
Da ormai molto tempo Matteo Renzi è uno dei leader politici più popolari della politica italiana. L’ascesa del sindaco di Firenze è coincisa con il calo, via via più drammatico, di Mario Monti. Quando il professore della Boccini, arrivato a Palazzo Chigi con un enorme picco di popolarità, ha iniziato a perdere consensi, i tanti italiani alla ricerca di una nuova opzione politica all’interno dei partiti tradizionali, esclusi quindi gli elettori o i simpatizzanti più convinti del MoVimento 5 Stelle, hanno guardato con simpatia via via crescente a Matteo Renzi ed al suo messaggio di rottamazione. Nell’estate del 2012 il consenso verso il sindaco di Firenze ha iniziato a diventare molto rilevante, tanto che Renzi combatte per allargare i confini della partecipazione alle primarie del centrosinistra proprio per sfruttare la sua popolarità trasversale. La sconfitta, invero piuttosto netta, contro l’allora segretario del Partito Democratico non ha affatto spento la stella del sindaco di Firenze, che al contrario è uscito come l’unico vero vincitore dalla debacle di Italia Bene Comune alle politiche del 2013. L’elettorato progressista, dopo l’iniziale diffidenza, si è ricompattato attorno all’unico leader che appare capace di risollevare le sorti del PD dopo la disastrosa chiusura della segreteria di Pierluigi Bersani, coincisa con il momento più basso dei valori demoscopici dei democratici. Il successo attuale di Renzi è stato però causa della mancata esplosione del Partito Democratico che un istituto come Ipsos rilevava come potenziale, anche se certo non assicurata. Il sindaco di Firenze, come hanno mostrato le analisi condotte sugli elettori delle primarie, ha conquistato consensi tra gli elettori tradizionali del centrosinistra, ma il suo sempre maggior impegno nel PD gli ha allontanato, come era prevedibile, i simpatizzanti distanti dalle forze progressiste.

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