In Siria i nemici di Assad s’ammazzano tra di loro

09/01/2014 di Mazzetta

Un’inattesa svolta nella guerra civile siriana vede ora i nemici di Assad spararsi con ferocia più o meno in nome di Allah. Uno sviluppo che non può che far piacere al regime, che non è mai stato politicamente tanto forte dall’inizio della rivolta.

Siria

UN ENORME DISASTRO – Le immagini che vengono dalla Siria parlano indubbiamente di città ridotte come Beirut al suo peggio e se non bastassero le immagini ci pensa il flusso ininterrotto dei profughi in fuga portare fisicamente traccia del conflitto oltre frontiera. Centinaia di migliaia nei paesi vicini e altri ancora già sparsi tra i paesi del mondo che hanno loro aperto le porte, pochi e in grado di offrire un numero d’accessi davvero limitato a cominciare dall’Europa che rimane una delle destinazioni preferite per chi abbia le risorse e le forze per non fermarsi nei grandi campi allestiti dall’ONU e dalle organizzazioni internazionali appena al di là dei confini siriani. E poi ci sono i morti e i feriti, gli invalidi, gli amputati, gli orfani e tutto il corredo d’orrori che accompagna la guerra e che non riesce mai a varcare la barriera della televisione e dei giornali che non vogliono rovinare l’umore o dare pensieri a quanti si godono la pace altrove.

IL CAOS REGNA – Quella che manca è la chiarezza su quanto sta accadendo, perché la frattura tra le formazioni militari che si oppongono ad Assad è reale, ma sfugge alle classificazioni di comodo proposte molti e a dire il vero probabilmente sfugge anche alla logica, alimentandosi piuttosto di rancori e frustrazioni che si sono cumulate e che hanno trovato il loro sfogo dal momento in cui l’opposizione ad Assad ha visto sfumare l’ipotesi di bombardamenti americani sul regime. L’accordo con Assad per l’eliminazione delle armi chimiche, le prime lasciano fisicamente il paese in queste ore, ha rappresentato anche uno spartiacque nella postura occidentale verso l’opposizione e per di più si è accompagnato a un riavvicinamento tra Teheran e Washington, già occasionali compagni di merende in Iraq e in Afghanistan in nome di superiori interessi comuni e dell’antipatia degli ayatollah verso i sunniti, in particolare quelli fanatici che vaneggiano di califfati e non di repubblica islamica.

GLI INDESIDERATI – C’è stato chi ha provato a inquadrare il momento come una guerra per procura tra Iran e Arabia Saudita, ma è una di quelle classificazioni maldestre che tenta di mettere il vestito sbagliato partendo dall’evidente ostilità dei monarchi sauditi per l’Iran. Ma la situazione è più complessa e lo scontro, pur chiamando in causa l’antica rivalità tra sciiti e sunniti, sembra più la storia di Bandar Bush contro tutti, perché la presa dei sauditi su parte dell’opposizione armata ad Assad appare incerta nonostante le generose sponsorizzazioni e soprattutto perché i guerriglieri internazionalisti richiamati dal conflitto e spesati dai paesi del Golfo si sono riuniti in bande che non vanno d’accordo e che a loro volta hanno rapporti difficili con l’opposizione locale al regime. Opposizione che nei nuovi compagni d’arme ha trovato una forza potente e chiaramente intenzionata a dare alla Siria del dopo-Assad un’impronta non solo islamica, ma decisamente talebana. Anche qui come nell’effimera occupazione di parte del Mali i guerrieri di Allah hanno portato le loro regole draconiane e anche qui hanno cozzato contro una popolazione che è sì per la maggioranza musulmana, ma che a vivere da talebana non ci pensa proprio. L’esempio dei curdi siriani, i primi a interdire l’ingresso nella loro regione ad altre milizie che quelle locali, è paradigmatico e alla stessa conclusione dei curdi sono arrivati poi anche le altre opposizioni armate al regime, che ora sembrano seriamente orientate a invitare con le armi gli alleati di un tempo a lasciare il paese.

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