La bufala della pelliccia di cani e gatti usati da Piazza Italia

Articoli confusi, che fanno un gran uso di foto e frasi ad effetto, ma che mancano di qualsiasi sostanza. Quando la difesa degli animali sconfina nel patetico, si rivela controproducente.

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POCHE IDEE, MA CONFUSE – Un articolo a firma di Mina Capussi su unmondoditaliani.com denuncia: «Gatti e cani scuoiati vivi. Non comprate a Piazza Italia. Importa dalla Cina capi con inserti di morte». Poi però per chi abbia la voglia e la pazienza di addentrarsi nel pezzo, non c’è alcun riferimento preciso che sostenga la denuncia nel titolo, ma solo un’esagerato uso della retorica animalara e di divagazioni inutili.

BISOGNA FIDARSI – Quello che si capisce è che l’autrice ha comprato dei capi d’abbigliamento e che, una volta a casa, è rimasta delusa dallo scoprire che provengono dalla Cina. Da lì parte un lunghissimo rantolo contro i Piazza Italia che «Addirittura vende abbigliamento e accessori con inserti di pelliccia di gatto e di cane, al centro di vere e proprie stragi perpetrate in quel paese». Ma poi in nessuna parte dell’articolo c’è altro oltre a questa accusa generica, né l’indicazione precisa di un capo confezionato usando pelo di cane o gatto, bisogna fidarsi dell’affermazione non sostanziata dell’autrice, che qualche problema con la Cina, che conosce poco, lo deve avere, se parla di etichetta-incubo riferendosi a quella con scritto made in China.

ARRIVANO I CONIGLI – L’autrice evidentemente non può circostanziare meglio la sua denuncia e così trasla il discorso sui conigli d’angora come se niente fosse:

Il problema, in ogni caso, non riguarda laprovenienza tout court della merce, bensì lapresenza di insertiprovenienti dall’uccisione e dalle sevizie nei confronti di animali da affezione, quali cani e gatti. Che senso ha, ditemi, il pompon di pelo di gatto d’angora sui guanti Made in China?Quanto dolore, quale orrore, quale trattamento disumano, quali sevizie, quanto sangue c’è dietro quel paio di guanti? Lo sa il cliente di Piazza Italia che iconigli d’angora in Cina vengono scuoiati vivi, sì, proprio vivi, per non perdere tempo e danaro in “inutile” anestesia? La loro agonia è lenta e terribile, lasciati morire dopo aver tolto loro la pelle con la pelliccia che la ricopre.

MISTICO – Non che il successivo richiamo al martirio di San Bartolomeo abbia molto più senso, visto che la sua non è la sorte che spetta ai conigli, che nessuno flagella e appende sul fuoco per produrre abbigliamento e accessori.  C’è poi da dire che l’invito all’azienda ad «accertarsi che i capi delle collezioni non siano macchiati di sangue, privi diinserti di animali che in Italia sono considerati d’affezione, per i qualil’uccisione e i maltrattamenti sono puniti dalla legge» conferma che l’autrice non è affatto sicura di quanto denuncia.

ATTIVISMO MALDESTRO – Quello di cui è sicura è l’esistenza di un noto video della PETA che mostra come si scuoiano vivi i conigli d’angora in qualche laboratorio cinese ed è su quello che spinge l’acceleratore, ma non si tratta di cani e gatti e chiedere all’azienda in questione di bandire «dai propri punti vendita i capi che comportano torture e uccisioni» equivale solo a chiedere la messa al bando di carni e pellicce. Non si capisce quindi perché un’azienda dovrebbe rispondere a un invito tanto scombinato e ad accuse del genere, che se non dimostrate potrebbero anzi ritorcersi contro l’autrice del pezzo. Le accuse infatti vanno dimostrate e per farlo ci vuole qualcosa di più della retorica pietista o dei riferimenti al martirio dei santi.

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