Perché il braccialetto elettronico per i detenuti non funziona

Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera spiega e racconta perché la misura di controllo dei carcerati per mezzo del braccialetto elettronico (anzi, della cavigliera idrorepellente) presenta ad oggi molti problemi di utilizzo, tanto che la misura presa dal governo rischia di essere inutile o dannosa:

 

Eppure è scontato che a fare più scena sia ancora l’ennesimo rilancio del «braccialetto elettronico», che poi in realtà è una cavigliera: idrorepellente, impermeabile, resistente a 70 gradi di temperatura e a 40 chili di forza di strappo. Un mese fa, a fronte dei 2.000 disponibili in base al contratto con Telecom da 11 milioni l’anno, in tutta Italia ne erano in funzione appena 55 su ordine di solo 8 uffici giudiziari.

Spiega Ferrarella che il governo  azzarda una nuova scommessa su uno strumento che, divorando oltre 80 milioni di euro dall’infelice esordio nel 2001, ha solo prodotto «una reiterata spesa antieconomica e inefficace», per usare le parole della Corte dei Conti:

Pudìche rispetto all’immortale sintesi in Commissione Giustizia nel 2011 del vicecapo della polizia Cirillo: «Se fossimo andati da Bulgari avremmo speso meno». Sinora contemplato per gli «arresti domiciliari», cioè per chi è in misura cautelare nelle indagini preliminari, adesso diventerà usabile anche per la «detenzione domiciliare», cioè per i condannati ammessi però a scontare la pena a casa. Successi o nuovi fallimenti dipenderanno dalla logistica: la fresca esperienza a Busto Arsizio di Guido Haschke nell’inchiesta Finmeccanica segnala quanto il sopralluogo dei tecnici per mappare la volumetria degli ambienti sia determinante (più ancora della centralina) per assicurare il segnale e ridurre i falsi allarmi.

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