“Sì, in caserma c’è stato sesso ma lei lo voleva”

Stupro del Quadraro, i carabinieri: “Era consenziente”. Il che peggiora il reato

Tre carabinieri e un vigile urbano sono rimasti invischiati in quella che potrebbe diventare davvero una brutta storia di violenza sessuale in uno dei luoghi che dovrebbe garantire la sicurezza del cittadino: la caserma dei Carabinieri, quella del Quadraro, a Roma. La procura di Roma ha aperto formale inchiesta per violenze sessuali contro i tre esponenti dell’Arma e per l’agente del Corpo della Polizia Municipale capitolina, mentre iniziano ad emergere le versioni dell’accaduto. Divergono, come è ovvio, quella degli agenti delle forze dell’ordine e quella della vittima.

STUPRO – Per quest’ultima si è trattato di stupro in piena regola.

La donna ha denunciato senza mezzi termini di essere stata violentata. I carabinieri negano, ammettendo però il rapporto sessuale «consensuale» e «amichevole». Un percorso a ritroso in quella notte che si annebbia anche per il whisky. La vittima, una ragazza madre di 32 anni, ha ricordi confusi. L’alcol e, probabilmente la paura e lo choc, rendono difficile mettere nero su bianco quella maledetta notte. Dice di non ricordare atteggiamenti violenti, questo no. Ma è sicura di essere stata costretta a bere. E, a quel punto, di aver avuto rapporti con i carabinieri e con il vigile urbano. Non violenti, di sicuro non voluti

La storia ci parla di una ragazza detenuta in cella di sicurezza e di quattro agenti che per scampare alla monotonia della caserma la fanno bere; poi la portano a mensa a mangiare con loro, e lei, a sentire loro, inizia a fare avances in maniera rilevante. I quattro ci stanno e consumano un rapporto sessuale con lei, che però definiscono assolutamente consenziente.

CONSENZIENTE – La linea difensiva degli esponenti dell’arma sembra essere proprio questa: è vero, abbiamo fatto sesso con lei, ma lei era d’accordo.

«Sì, c’è stato un rapporto sessuale in quella caserma. Ma era consenziente, nessuno stupro, nessuna violenza sessuale». Il racconto del vigile urbano, da diciotto anni nella municipale e in servizio, fino al trasferimento di ieri, nel centro di Roma, inizia così. Lo ha detto al magistrato, dal quale s’è presentato col suo avvocato, e lo ha ripetuto ai suoi superiori che lo hanno interrogato sulla vicenda nei giorni scorsi. Una versione che, in più punti, non coincide con quelle rese dagli altri due carabinieri ascoltati in

L’agente della municipale romana sembra avere un ricordo molto chiaro della vicenda. La ragazza, visibilmente alterata, aveva la chiara intenzione di procedere alla consumazione del rapporto sessuale. Ha iniziato a proporsi ai suoi carcerieri, fino a quando uno degli agenti non ha ceduto alle sue lusinghe.

«Lei, forse per l’alcol, ha iniziato a provocare», prosegue il vigile. «Non erano proposte velate erano approcci sessuali inequivocabili. All’inizio ci abbiamo scherzato su, ma lei insisteva. Mi si è avvicinata e mi ha tirato per la maglietta per baciarmi. Io l’ho allontanata. Ho altri orientamenti sessuali. A quel punto lei s’è buttata su uno dei carabinieri e ha iniziato a baciarlo, con foga. Quindi io e gli altri due militari siamo usciti in corridoio e li abbiamo lasciati da soli nella sala mensa». Altra crepa nella versione del vigile urbano. Uno dei carabinieri ascoltati in procura ha infatti dichiarato che uno soltanto è uscito dalla sala mensa, gli altri tre, compreso il vigile urbano, sono rimasti dentro, partecipando tutti alla «situazione totalmente amichevole». Conclude il vigile. «Era chiaro a tutti cosa stesse succedendo in quella sala: i due stavano consumando un rapporto sessuale. Assolutamente consenziente».

La consensualità del rapporto, comunque, è la principale linea di difesa dei carabinieri, che in via precauzionale sono stati già spostati in altre caserme proprio dall’arma.

ANCORA PIU’ GRAVE – Eppure, potrebbe non bastare. Perchè all’interno di una struttura adibita alla difesa del cittadino ci si aspetterebbe altro che la consumazione di un rapporto sessuale con una detenuta. E in ogni caso potrebbe costituire un’aggravante dell’imputazione su cui la procura di Roma sta esercitando l’azione penale. Si parla comunque, in fondo, di un luogo adibito alla tutela della sicurezza di tutti: che diventi la sede di un reato non può non far pensare. Luigi Manconi, leader di A Buon Diritto, organizzazione che si occupa della tutela e della garanzia dei diritti umani, è molto sicuro in proposito: la linea difensiva degli uomini è fallace, perchè in ogni caso una persona detenuta non è abile a formare il proprio consenso in maniera libera abbastanza da essere tutelata in via giudiziale. Troppo forte il condizionamento dell’essere in galera: e qualsiasi uomo in divisa avrebbe dovuto pensare prima di tutto alla tutela della persona detenuta, che ovviamente cerca in ogni modo di liberarsi dalla sua prigionia.

«È un caso di una gravità inaudita, questa donna era in una duplice condizione di subordinazione: quella del cittadino di fronte al pubblico ufficiale e quella del cittadino privato della libertà nei confronti del pubblico ufficiale che lo ha in custodia ». Luigi Manconi, ex sottosegretario alla Giustizia, presidente di “A buon diritto”, conosce gli abusi che subiscono i detenuti, i conflitti e le complicità che nascono nei luoghi di detenzione.

I carabinieri coinvolti dicono che la donna era consenziente.
«Questa più che una giustificazione mi sembra un’ammissione ancora più colpevole, di quale consenso si può parlare quando si verificano quelle condizioni? Una giovane donna in cella, socialmente debole, di fronte a tre carabinieri è la più fragile delle vittime. Parlare di consenso è quasi una confessione collettiva».

Insomma, dice Manconi, attenzione a parlare di rapporto consenziente, perchè una donna in cella difficilmente può rifiutarsi di essere consenziente verso la pubblica autorità. Il fatto che volesse fare quello che poi è successo potrebbe costituire addirittura un’aggravante dell’abuso commesso dai Carabinieri.

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