Come funziona la legge Bossi-Fini

04/10/2013 di Alberto Sofia

Era il luglio del 2002 quando il Parlamento italiano approvava la legge Bossi-Fini in materia d’immigrazione, la normativa contro la quale si sono scagliati diversi parlamentari di centrosinistra dopo la strage di Lampedusa, chiedendo una sua revisione. Alla Bossi-Fini, che ereditava i tratti generali della Turco-Napolitano, si è poi aggiunto quanto previsto dal criticato Ddl sicurezza del 2009. Quello che introduceva l’aggravante del reato di clandestinità, poi bocciato dalla Consulta nel 2010. Sarà poi la Corte di Giustizia dell’Unione europea a bocciare anche il reato di clandestinità (perché in contrasto con la direttiva europea sui rimpatri), dichiarando illegale il carcere. Il reato di immigrazione clandestina restava, ma veniva punito con una sanzione pecuniaria e non, come prevedeva il pacchetto sicurezza, con la reclusione da 1 a 4 anni. Ma cosa prevede l’impianto della Bossi-Fini oggi criticato?

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LEGGE BOSSI-FINI: COSA PREVEDE – La legge Bossi Fini entrò in vigore a settembre del 2002 e divenne una sorta di totem da parte del centrodestra, in grado di cavalcare il tema di sicurezza e vincere con questo le elezioni nell’arco dell’ultimo decennio. In particolare, è stata la Lega Nord a difendere la legge per le sue battaglie propagandistiche, così come ha fatto ieri anche lo stesso Bossi, che si è scagliato contro chi vorrebbe cambiarla. In particolare, nella legge Bossi-Fini la permanenza legale del migrante sul territorio nazionale è subordinata all’esistenza di un “contratto di lavoro”. Non pochi hanno sottolineato le critiche per l’aspetto “utilitaristico” della norma, così come per la concezione dello straniero in Italia che ne emerge. Senza considerare la ricattabilità dello straniero stesso presente nel nostro territorio, soprattutto in un periodo di forte crisi economica. Tale da rendere nuovamente clandestino anche chi, nonostante si trovi in Italia da diverso tempo in posizione regolare, ha perso la propria occupazione. E’ stato proprio il meccanismo che prevede il termine del diritto di restare in Italia dopo sei mesi da disoccupati (soglia alzata di un anno alla fine della scorsa legislatura, ndr) ad essere stato criticato. In generale, rispetto alla precedente legge Turco-Napolitano – quella che già comunque prevedeva la nascita dei centri di permanenza temporanea, ndr – la normativa che porta il nome del Senatur leghista e dell’ex alleato di governo di Silvio Berlusconi (con cui poi ha rotto, prima della fallimentare esperienza con Futuro e Libertà) prevede l’obbligo del contratto di soggiorno, ma ha dimezzato la durata dei permessi di soggiorno stessi e i tempi di ricerca di un nuovo lavoro dopo la disoccupazione, rispetto alla Turco-Napolitano. Per quanto riguardava le espulsioni, invece, come nella legge Turco-Napolitano, fu deciso allora come lo straniero senza permesso di soggiorno doveva essere espulso per via amministrativa. Se privo di documenti veniva portato in un centro di permanenza per sessanta giorni (la Turco-Napolitano ne prevedeva trenta, ndr) durante i quali si dovevano svolgere le pratiche per l’identificazione e la futura espulsione. Si decise poi come, nel caso non venisse identificato, al clandestino erano concessi tre giorni (e non più 15) per lasciare il territorio italiano.

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BOSSI-FINI CONTESTATA – Tra i punti più criticati della norma Bossi-Fini c’era quindi la subordinazione dell’ingresso e della permanenza degli immigrati all’attività  lavorativa. Tutto doveva essere certificato attraverso un regolare contratto di soggiorno, per un tempo massimo di due anni per i rapporti a tempo indeterminato (soltanto un anno negli altri casi). Senza dimenticare come, rispetto alla legge precedente, fossero stati aumentati gli anni necessari per ottenere la garanzia di restare in Italia a tempo indeterminato con l’acquisizione della carta di soggiorno. Da quando entrò in vigore furono necessari non più cinque anni, bensì sei. Soltanto grazie al recepimento di una direttiva comunitaria tutto fu riportato secondo i requisiti precedenti. Rispetto al passato veniva poi abolito il sistema della sponsorizzazione e le richieste per entrare in Italia potevano essere presentate soltanto il giorno in cui veniva pubblicato il decreto flussi, ovvero l’atto normativo con il quale lo stato italiano definiva la soglia di quanti non comunitari potevano o meno entrare nel nostro territorio per motivi di lavoro. Spiega il sito Melting Pot:

« Relativamente al governo dei flussi migratori, oltre alla nota abolizione del sistema della sponsorizzazione che era l’unico sistema funzionante per consentire ingressi regolari, si è accentuata l’ipocrisia secondo la quale si fa finta di pensare che uno straniero che vuole entrare regolarmente in Italia per motivi di lavoro possa riuscire a trovare, stando nel suo paese, un datore di lavoro italiano che teoricamente dovrebbe fidarsi di assumere una persona mai vista né conosciuta e che poi dovrebbe ottenere l’autorizzazione al lavoro. In realtà sappiamo che la quasi totalità di coloro che sono entrati con questo sistema delle quote, erano già qui da prima, come clandestini, ed hanno avuto la fortuna di trovare un datore di lavoro serio, coraggioso e molto paziente che ha intrapreso questa farraginosa procedura burocratica per consentirne l’ingresso regolare in Italia»

Con la Bossi-Fini poi, se prima era possibile cominciare a presentare le domande all’inizio dell’anno,veniva realizzata «una sorta di lotteria», anche perché non era nemmeno chiaro quando veniva pubblicato il decreto flussi. Soltanto da quella data potevano essere presentate le domande. 

ALTRE CRITICHE E PROPOSTE– Ad essere contestata fu anche la logica dei respingimenti al Paese di origine in acque extraterritoriali, attraverso accordi bilaterali tra Italia e paesi del Mediterraneo. Si pensi alle polemiche per gli accordi di cooperazione firmati nel 2008 tra Italia e la Libia di Gheddafi, per la prevenzione dell’immigrazione clandestina. Diversi quotidiani, compresa l’Unità, testimoniarono con scatti vergognosi le torture inflitte nei centri di detenzione libici, compreso quello di Ganfuda, vicino Bengasi. La logica dietro i respingimenti era quella di evitare l’attracco nei porti italiani dei barconi, con l’assistenza e le prestazioni di soccorso da realizzare direttamente in mare, attraverso le imbarcazioni e i mezzi delle forze dell’ordine. La ministra Kyenge vorrebbe modificare la legge Bossi-Fini e il suo impianto, giudicato troppo restrittivo. Tra le proposte di cui si è parlato in passato anche la possibile introduzione di una forma di permesso di soggiorno per un anno per la ricerca di un’occupazione, attraverso quote fissate all’interno degli stessi decreti flussi. Oltre alla possibile reintroduzione della figura dello «sponsor», ovvero la personalità che “garantiva” per l’ingresso in Italia del migrante. Associazioni e partiti di sinistra chiedono anche il superamento del sistema dei Cie, un tema sul quale l’Italia è già stata ammonita diverse volte dalle istituzioni europee. Proprio due giorni fa il Consiglio d’Europa attaccava le nostre normative in materia d’immigrazione. Compresa la questione dei centri, dove immigrati possono essere trattenuti per un anno e mezzo soltanto per la mancanza di documenti. In generale, la Bossi-Fini è stata definita da più parti come una legge vecchia, da cambiare anche perché inadatta al periodo di recessione economica attuale. Un miglioramento auspicato da associazioni che si battono per i diritti dei migranti: se modifiche di legge non bastano per evitare tragedie come quelle di Lampedusa, senza un contemporaneo apporto delle istituzioni comunitarie, non pochi ritengono però come possano rendere meno complicata la vita dei migranti, oltre che sburocratizzare le norme che regolano il loro ingresso.

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