La mossa geopolitica di Google, chi non c’è tra i 180 Paesi in cui è operativa la sua intelligenza artificiale

Bard non entrerà in gran parte dei Paesi dell'Unione Europea. È il tentativo di forzare la mano dal punto di vista della strategia di distribuzione

12/05/2023 di Gianmichele Laino

Un lungo elenco di 180 Paesi. Se consideriamo gli Stati dell’ONU, sono 13 in meno rispetto a quelli che siedono intorno al tavolo delle Nazioni Unite. Sebbene la differenza tra l’elenco e le bandiere sul palazzo di vetro sia numericamente minima, la sostanza cambia davvero molto. Come si può intuire, vista l’attualità del momento, stiamo parlando della lista dei Paesi in cui Bard (il servizio di intelligenza artificiale di Google) è disponibile a partire dal 10 maggio nella sua piena funzionalità. Perché il paragone con gli Stati dell’ONU? Perché mentre tra questi emerge fondamentale il ruolo dei Paesi dell’Unione Europea, nella lista che il colosso di Mountain View ha fornito in sede di presentazione degli update di Bard non compare nemmeno un Paese comunitario. Una mossa che, sempre per restare in tema di diplomazia e di scacchiere internazionale, sembra essere più inquadrata in una sorta di geopolitica di Bard che in un piano di tipo economico-finanziario.

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Geopolitica di Bard: l’intelligenza artificiale come mossa diplomatica di Google

Le grandi aziende multinazionali – in teoria – dovrebbero avere un obiettivo molto preciso: quello di guadagnare il più possibile, di ottenere ricavi significativi. È l’assunto alla base del capitalismo: misurare la domanda e l’offerta e avvantaggiarsi il più possibile da questo tipo di equilibrio tra le due componenti. E allora il quesito che bisogna porsi è: perché Google ha rinunciato alla distribuzione del suo prodotto nell’Unione Europea, se qui risiedono – potenzialmente – gran parte dei suoi possibili utenti? Qualche numero: l’Europa è la seconda area geografica al mondo per tasso di penetrazione di internet tra la sua popolazione. 743 milioni di europei utilizzano internet, secondo World Stats, per una percentuale dell’88,4% della popolazione del continente. In Italia, facendo un focus ancora più specifico che ci può aiutare a comprendere meglio la dimensione del fenomeno, un servizio di Google come quello offerto da YouTube riesce a collezionare 35,4 milioni di persone al mese. 

Insomma, non si può assolutamente fare di tutto questo una questione di mercato. Aggiungiamo un altro dettaglio. Bard, ma questa mossa era già più “telefonata” per le persone che hanno contezza degli equilibri del web, non sarà diffuso in Cina. Secondo il China Statistical Report on Internet Development, nel Paese il 71,6% della popolazione utilizza internet. E – per un Paese come il Dragone – questa percentuale significa un numero di utenti di poco superiore al miliardo. Platea più che appetibile, in termini di un ragionamento estremamente semplicistico. Poi, è ovvio, il rapporto con la Cina – per qualsiasi strumento tecnologico occidentale – è sempre stato complesso ed è sempre stato subordinato a questioni politiche interne, per una questione di “chiusura” dello Stato cinese verso l’esterno e per un discorso legato all’alto livello di competitività dei prodotti locali rispetto a quelli importati. Anche quando si parla di tecnologia e di digitale.

Ma – insomma – se facciamo una semplice addizione tra i Paesi europei e la Cina (e non consideriamo nemmeno, in questa fase storica, l’assenza della Russia da quell’elenco) non possiamo non notare come una grandissima fetta di utenti internet al mondo siano esclusi dall’impiego dello strumento di intelligenza artificiale di Google. È chiaro, quindi, che la mossa è geopolitica.

L’arma che Google sta utilizzando

Nel nostro monografico, stiamo provando ad analizzare (con articoli ad hoc più approfonditi) le motivazioni che hanno portato Google a non mettere a disposizione degli europei il suo modello di intelligenza artificiale. Abbiamo sicuramente preso in considerazione la contesa che c’è stata tra ChatGPT (e l’azienda madre Open AI) e il Garante della Privacy italiano che – lungi dall’essere una questione solo nazionale, visto l’elevato tasso di partecipazione a questo dibattito da parte di altri garanti di altri Paesi UE ed extra UE – ha portato il sistema di intelligenza artificiale a modificare il suo approccio rispetto ai dati personali. Sicuramente, analizzeremo l’impatto dell’AI Act, uno strumento normativo dell’Unione Europea che, proprio in questi giorni, sta prendendo nuovamente vita, recependo tutti gli avanzamenti della tecnologia rispetto al passato (un tempo, la norma si era concentrata esclusivamente sui sistemi di riconoscimento biometrico).

Ma non possiamo non considerare che questa mossa di Google sia fortemente politica. Il tentativo è quello di forzare la mano, di escludere una platea molto sostanziosa di utenti da quella che si annuncia come una delle più significative innovazioni nel settore della ricerca online. Una manifestazione di forza che punta a questo obiettivo: noi – Google – andiamo avanti per la nostra strada, pensiamo che questo sia il modo migliore per introdurre l’AI di Bard, la mettiamo a disposizione di quegli stati che ci stanno. Voi – l’Europa e la Cina – scoprirete presto quanto sia importante e significativa l’evoluzione che noi – Google – stiamo apportando e sarete presto responsabili del digital divide che si potrebbe creare per i vostri cittadini. Presto, insomma, voi – Europa e Cina – sarete costrette a rincorrerci e a mitigare i vostri regolamenti restrittivi. Per il momento, forti della portata dell’innovazione, noi – Google – procediamo e andiamo avanti, rinunciando a una fetta di mercato, ma massimizzando quello che riusciamo a raggiungere.

In questo modo, l’intelligenza artificiale di Bard non viene più utilizzata come una semplice “innovazione tecnologica”, ma come una sorta di “arma”, ben poco diplomatica, per mettere alcuni stati in un angolo. Va da sé, però, che così ragiona uno Stato. Non un’azienda.

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